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DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 1998
( Caritas )

( Sulla base dei dati forniti dal ministero dell'Interno. )

Questo Ottavo Rapporto della Caritas si presenta più ricco, grazie specialmente alla grande disponibilità dimostrata dal Ministero dell'Interno nel mettere a disposizione i suoi dati. Anche le chiavi di lettura dei dati sono state perfezionate nell'intento di illustrare i tre pilastri della nuova legge sull'immigrazione ( n. 40/1998 ), che vengono evidenziati da tre parole chiave:

  • L'immigrazione, confluita in Italia nel corso degli anni, ha come corrispettivo l'inserimento sociale dei nuovi venuti ( integrazione );

  • La decisione di incanalare i flussi per quote esige che i meccanismi siano operativamente soddisfacenti ( programmazione );

  • La lotta contro i traffici clandestini va comunque ispirata ad un'ottica positiva nei confronti degli immigrati e condotta con realismo e solidarietà ( trasparenza ).

    Prima di esaminare questi tre aspetti riassumiamo i dati numerici più significativi.

    I NUMERI DELL'IMMIGRAZIONE ALL'INIZIO DEL 1998


    - Numero complessivo: 1.240.721 al 31-12-97 (con una incidenza del 2,2% sulla popolazione residente), di cui 168.125 comunitari (13,5%) e 100.134 da altri paesi a sviluppo avanzato (8,1%);

    - Provenienza continentale: Europa 486.448 (39,2%), Africa 350.952 (28,3%), America 172.849 (13,9%), Asia 225.474 (18,2%), Oceania 4.131 (0,4%), non classificati 867 (0,1%);

    - Principali comunità: Marocco 131.406, Albania 83.807, Filippine 61.285, USA 59.572, Tunisia 48.909;

    - Caratteristiche sociodemografiche: maschi 678.251 (54,5%), femmine 562.470 (45,5%); coniugati 550.410 (44,4%), persone con prole 139.972 (11,3%), classe di età 19-40 anni 844.421 (68,1%)

    - principali motivi di soggiorno: lavoro 756.829 (61%, di cui 36.586 per lavoro subordinato, 133.234 per iscrizione alle liste di collocamento e solo 29.926 per lavoro autonomo), motivi familiari 230.450 (18.6%), motivi religiosi 58.372 (4,7%), studi 56.759 (4,6%), turismo 47.360 (3,8%).

    - Area di insediamento: Nord 636.742 (51,3%), Centro 378.415 (30,5%), Sud 141.833 (11,4%), Isole 83.731 (6,8%); la Lombardia (250.400) e il Lazio (218.978) sono ai primi posti e ormai 26 province superano i 10.000 permessi di soggiorno (in testa Roma con 211.200 e Milano con 150.498).

    INTEGRAZIONE


    La lettura strutturale dell'immigrazione può essere inquadrata in questi punti:

    - L'immigrazione implica la tendenza al radicamento nel paese di destinazione, salvo gli spostamenti da una provincia all'altra;

    - La consistenza dei residenti di lunga durata è, in Italia, più alta di quanto si potesse immaginare;

    - Il processo di radicamento caratterizza sempre più la presenza straniera;

    - Diventa sempre più necessario il varo di adeguate politiche di integrazione e il superamento del muro di indifferenza e ostilità.

    Il numero di immigrati in Italia e in Europa

    L'immigrazione è un fenomeno stabile e destinato, per la sua stessa dimensione quantitativa, a incidere profondamente sul carattere delle società europee.

    Nell'Unione Europea i 18 milioni di cittadini stranieri (5% dei residenti), o anche da soli i 14 milioni di cittadini extracomunitari, costituiscono una popolazione più numerosa di quella degli Stati membri di piccola grandezza come Lussemburgo e Irlanda, o anche di media grandezza, come Austria, Grecia, Paesi Bassi e Svezia.

    In Italia i cittadini non comunitari nell'insieme (1.072.596) eguagliano la popolazione di Basilicata, Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige o Umbria. Tenendo conto anche dei cittadini comunitari (168.125) e delle presenze irregolari (250.000), si arriva a 1.500.000 circa con un'incidenza complessiva del 2,6% sulla popolazione residente.

    Il dinamismo degli anni '80

    L'aumento degli immigrati è stato continuo in Italia nel corso degli anni '90, a seguito delle nuove nascite, dei ricongiungimenti familiari, dell'asilo umanitario e delle stesse esigenze lavorative evidenziate dalle regolarizzazioni.

    E' andato così sempre più configurandosi un contesto di insediamenti definitivo

    Da un censimento effettuato dalla Direzione centrale per la documentazione del Ministero dell'Interno, le strutture di accoglienza per cittadini extracomunitari sono risultate 742 con 17.521 posti, di cui i tre quarti nelle Regioni del Nord Italia. In media vi è un posto letto ogni 63 stranieri ma nel Centro, ad esempio, vi è un posto letto solo ogni 156 stranieri. La metà dei posti è gestito da strutture pubbliche, l'altra metà o in regime di convenzione o da privati.

    Questa situazione è dovuta alla carenza di finanziamenti (periodo 1994-96) e delle politiche di accoglienza affidate esclusivamente ai fondi ordinari degli enti locali. A ciò si è posto rimedio solo con la nuova legge sull'immigrazione, che ha previsto uno specifico stanziamento per le politiche di accoglienza (58 miliardi per il 1998).

    I potenziali beneficiari delle carte di soggiorno.

    Una stima prudenziale, effettuata dall'équipe del "Dossier Statistico sull'archivio dei permessi di soggiorno del Ministero dell'Interno, pone in evidenza che 272.000 persone sono residenti in Italia da più di 5 anni. Questo significa che circa la metà di quelli che vengono in Italia lo fanno per insediarsi definitivamente.

    Essi, in base alla nuova legge, potranno ottenere la carta di soggiorno, essere maggiormente equiparati agli italiani nell'ambito sociale e lavorativo e, in prospettiva, ottenere anche il diritto di voto amministrativo, come avviene già in altri paesi.

    L'insediamento stabile dei cittadini riguarda sia i gruppi a noi omogenei per cultura e grado di sviluppo economico, a partire dagli Stati Uniti (18.000 ) e dai cittadini dell'Unione Europea (45.000, con Germania, Gran Bretagna e Francia ai primi posti), sia quelli provenienti da paesi in via di sviluppo. Tra i non comunitari, ai primi posti per anzianità di residenza, vengono il Marocco (38.000), le Filippine (18.000), la Tunisia (15.000), il Senegal (12.000), la Iugoslavia (11.000), per finire con l'Albania, l'Egitto e la Cina (8.000 ciascuno). In questa classifica della stabilità sono meno rappresentati i paesi dell'Est europeo e dell'America Latina, perché i flussi da quelle aree sono andati incrementandosi tardivamente. In ogni modo, complessivamente gli europei (87.000) vengono subito dopo gli africani (97.000) e precedono gli asiatici (51.000) e gli americani (37.000).

    Queste presenze stabili, equivalgono ad una fotografia dell'immigrazione così come si presentava all'inizio degli anni '90: meno della metà al Nord ( di cui 53.000 nella Lombardia ), un terzo al Centro ( di cui 65.000 nel Lazio ) e un quinto nel Sud ( di cui 23.000 in Sicilia ). Con il passare del tempo, però, ci sarà un sensibile spostamento del baricentro verso le regioni settentrionali.

    L'aumento dei matrimoni misti e dei minori.

    I matrimoni misti , che erano 5.000 nella metà degli anni '80, hanno superato le 11.000 unità nel 1994 e attualmente si stima abbiano raggiunto il livello di 15.000 l'anno.

    Nell'87% dei casi riguardano italiani (due casi su tre) o italiane (un caso su tre) che si sposano con un coniuge straniero.

    I minori, figli di immigrati, iscritti nelle anagrafi comunali, erano 125.565 al 31 dicembre 1996. Secondo un aggiornamento condotto sull'archivio dei permessi di soggiorno, nel 1998 si possono stimare presenti circa 150.000 minori stranieri con un'incidenza del 12% circa sul totale della popolazione immigrata. Poiché la loro incidenza negli altri paesi dell'Unione Europea è mediamente del 25%, si può prevedere, anche in Italia, il raddoppio a medio termine.

    Circa il 40% dei minori è europeo e il 30% africano, mentre asiatici e americani sono ciascuno il 15% del totale. Ad essere maggiormente caratterizzati da un tasso di familiarizzazione (14-16% ) e cioè dall'incidenza di persone con prole sono, oltre agli immigrati provenienti da paesi vicini (Albania, Iugoslavia, Marocco), anche quelli originari di paesi lontani come la Cina.

    Il loro insediamento è caratterizzato da uno sbilanciamento verso le regioni del Nord, che detengono il 62% del totale.

    Dall'ultima rilevazione fatta dall'ISTAT (1994), risulta che ogni anno in Italia nascono 20.000 bambini da almeno un genitore straniero (il 3,7% del totale delle nascite e ben il 5-6% nel Nord e nel Centro) il che evidenzia un quoziente di natalità più alto rispetto alla popolazione residente. A nascere da entrambi i genitori stranieri sono, invece, 10.000 bambini l'anno.

    L'impatto dei ricongiungimenti familiari.

    I ricongiungimenti familiari sono uno dei fattori che incide maggiormente sull'aumento della popolazione immigrata. Quasi un quinto dei cittadini stranieri presenti in Italia lo sono per motivi familiari. A ricongiungersi sono i coniugi e i figli minorie in misura minore altri familiari. Più della metà di questi permessi riguardano le regioni del Nord, che si distinguono anche per la quota dei nuovi permessi rilasciati nel 1997 (60% su 23.857), mentre il Centro e il Meridione hanno all'incirca il 20% ciascuno. I 5.000 nuovi permessi familiari della Lombardia sono il doppio rispetto a quelli del Piemonte, dell'Emilia Romagna, del Lazio, del Veneto e tre volte di più rispetto alla Campania e alla Toscana.

    Per il Marocco nel 1997 si è trattato dell'arrivo di quasi 4.000 persone, per l'Albania di 3.000 unità, per Stati Uniti, Romania, Sri Lanka e Cina di più di mille unità e di poco meno per Cuba e Cina. Per aree sub-continentali, dopo l'Est Europeo (30%), vengono il Nord Africa (21%), l'America Latina (14%) e il Subcontinente Indiano (9%).

    Le chiavi di interpretazione dei flussi familiari sono le seguenti.



    - alcuni paesi, oltre a essere geograficamente vicini, si mostrano anche molto interessati al loro radicamento in Italia;

    - altri paesi, nonostante la lontananza geografica, mostrano altrettanto interesse a un insediamento di tipo familiare (Usa, Sri Lanka, Cina, India, Cuba e altri paesi latino-americani );

    - per un terzo gruppo di paesi (Polonia e Filippine), la notevole consistenza già raggiunta non sembra influire in misura corrispondente sul dinamismo dei ricongiungimenti.

    Il raddoppio degli allievi stranieri in cinque anni.

    Nel corso della prima metà degli anni '90 (dall'anno scolastico 1990-91 al 1995-96) la popolazione scolastica straniera, passando da 20.000 a 50.334 unità, ha conosciuto un incremento notevolmente più vivace rispetto a quello della popolazione immigrata (poco più del 25%). Ciò è dovuto all'accentuarsi del carattere familiare della presenza straniera e al graduale accesso alla scuola dei loro figli. In particolare, la presenza a scuola è stata caratterizzata da:
    - un aumento di ben sei volte per l'Europa dell'Est;
    - un aumento di tre volte per il Nord Africa e il Subcontinente Indiano,
    - un aumento di circa il 70% per l'Estremo Oriente e l'America Latina.

    La ripartizione di questi studenti rispetto agli italiani, è maggiormente caratterizzata da una concentrazione nei gradi più bassi di scuola: materna (21%), elementare (47%), media (19%) e secondaria (13%).

    Nonostante l'aumento intervenuto, l'incidenza degli stranieri sulla popolazione scolastica è ancora molto contenuta: complessivamente si tratta di un immigrato ogni 200 studenti. Solo nella scuola elementare il rapporto è di un immigrato ogni 100 studenti. Inoltre, in alcune realtà urbane, come quella milanese e quella romana, l'incidenza è molto più alta (rispettivamente il doppio e il triplo).

    Per quanto riguarda la provenienza continentale, i 50.000 studenti stranieri sono così ripartiti: un terzo europei dell'Est, un quinto nordafricani, un decimo ciascuno quelli provenienti dall'Estremo Oriente, dall'America Latina, dall'Africa subsahariana e dall'Unione Europea.

    La ripartizione religiosa degli alunni stranieri, secondo una stima condotta per la prima volta dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas di Roma, vede prevalere i cristiani come gruppo maggioritario (circa 22.000) seguiti dai musulmani (circa 18.000), dai seguaci di religioni orientali (2.500) e quindi da altri gruppi minori.

    Il tasso di naturalizzazione ancora lontano in Italia dalla media europea.

    Le acquisizioni di cittadinanza nel 1997 sono state 9.221, con un aumento annuo di più di 2.000 casi, mentre tra il 1989 e il 1992 il livello ondeggiava tra le 4.000 e le 5.000 unità. Nonostante tale incremento, l'accesso alla cittadinanza risulta ancora sottodimensionato rispetto all'impatto strutturale che ha già assunto l'immigrazione in Italia e che risulterà sempre più evidente negli anni a venire.

    Attualmente prevalgono i casi di cittadinanza a seguito di matrimonio con un partner italiano; gli europei e gli americani detengono i due terzi di tutti i casi di cittadinanza che si possono dire caratterizzati in prevalenza da una sorta di continuità culturale.

    Il conseguimento della cittadinanza dopo dieci anni di residenza (naturalizzazione ordinaria) acquisterà maggior dinamismo a partire dal 2000, riguarderà un numeroconsiderevole di persone stabilitesi in Italia a seguito alla regolarizzazione del1990, e farà aumentare le quote che attualmente spettano all'Africa (19%) e all'Asia (14%).

    Le regioni del Nord Italia, che hanno la maggioranza assoluta dei casi di cittadinanza, si confermano come l'area del paese in cui è maggiormente visibile questo processodi integrazione. Le altre aree, invece, hanno una quota percentualmente più bassarispetto a quella dei permessi di soggiorno.

    Nell'Unione Europea nel 1994 i casi di cittadinanza erano 330.000. Il fenomeno riguardava2 ogni 100 stranieri residenti, al ritmo di 1.000 immigrati al giorno; Gran Bretagna,Olanda, Germania e Francia risultavano in testa, con un numero compreso tra le 40.000 e le 80.000 unità.

    Le prospettive di dialogo interreligioso e di policentrismo etnico.

    La predisposizione al dialogo interreligioso in Italia sembra essere stato favorito da due fattori: l'apertura delle comunità cristiane agli immigrati di altre religioni da una parte, il carattere policentrico dell'immigrazione, dall'altra.

    Gli immigrati, in particolare quelli di religione islamica, hanno trovato nei cristiani una grande disponibilità all'accoglienza e ciò ha favorito l'instaurazione di buone relazioni. L'immigrazione è andata configurandosi come una palestra di convivenza interreligiosa nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II e nel contesto di una società laica che non contrasta le specificità religiose, ma le garantisce tutte. Per quanto riguarda la stima quantitativa dei gruppi religiosi spesso si sente dire che i musulmani in Italia o sfiorano il milione di unità o addirittura si collocano al di sopra. Invece, secondo la stima rigorosa, che ogni anno la Fondazione Migrantes conduce in collaborazione con la Caritas, i cristiani superano, complessivamente, il 50% del totale (647.000), i musulmani sono il 34% (422.000) e i seguaci di religioni orientali il 7% (79.000).

    Una mancanza di accortezza consiste spesso nell'estendere ai vari gruppi musulmani la connotazione di fondamentalisti sulla base dei limitati casi di sospetto terrorismo islamico, rischiando così di pregiudicare quel clima di distensione che, nell'insieme, ha caratterizzato in positivo l'Italia.

    Il modello italiano dell'immigrazione è caratterizzato da un accentuato policentrismo etnico. La presenza straniera si presenta da noi come un mosaico di paesi e di continenti. I gruppi più consistenti sono il Marocco, l'Albania e le Filippine. Sono però importanti anche altri gruppi etnici provenienti dalle diverse aree geografiche. Rispetto alla Germania, dove tre gruppi (turco, ex iugoslavo e italiano) raggiungono il 50% del totale, in Italia la stessa quota include ben 12 gruppi dei diversi continenti, molto differenziati per religioni e cultura. E' questo il motivo per cui l'Italia può fungere da fruttuoso laboratorio di convivenza.

    PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI

    La riflessione statistica sui nuovi permessi di soggiorno, concessi nel corso del 1997, può essere d'aiuto per arrivare ad una programmazione più mirata e quindi più efficace. I permessi concessi ex novo nel 1997 sono stati 123.824, di cui poco più di un terzo per soggiorni stabili, cioè per motivi di famiglia e di lavoro (nel rapporto di 2 a 1). Il 60% dei nuovi permessi per lavoro e famiglia è stato rilasciato nel Nord e ciò indica, per quell'area, una più alta attrattiva occupazionale e anche uno stadio più avanzato di inserimento familiare.

    Per conseguire una maggiore funzionalità bisogna far maggiormente perno sulle quote, evitando che siano trascurate aree continentali già radicate in Italia. Ad esempio, l'Africa e l'Asia hanno solo il 22,7% dei 123.824 nuovi permessi rilasciati nel 1995, mentre sfiorano la metà (46%) di tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti. Bisogna, poi, cercare di perseguire una certa corrispondenza tra permessi per motivi di lavoro e permessi per motivi familiari. Partendo dal presupposto che i ricongiungimenti familiari esprimono la tendenza all'insediamento stabile in Italia e alimentano le catene migratorie, non tenerne conto nella regolamentazione dei flussi equivale ad alimentare le vie dell'irregolarità.

    I nuovi permessi di lavoro sono stati rilasciati per i 4/5 ai paesi europei, specialmente a quelli dell'Est, mentre la quota residuale di 5.000 permessi è andata agli altri continenti, che invece detengono la quota dei due terzi per quanto riguarda i ricongiungimenti familiari; in particolare la differenza tra questi due tipi di permessi è di 15 punti per l'Africa e di 10 punti per l'Asia.

    Portando l'esame ai singoli gruppi si constata che nel 1997 un certo gruppo di paesi è stato poco o scarsamente preso in considerazione nell'attribuzione dei nuovi permessi di soggiorno, per cui ha rimediato attraverso i permessi per motivi turistici. Alcuni Paesi dell'America Latina, come il Brasile e la Colombia, e anche alcuni Paesi dell'Est europeo come la Romania e la Polonia, ottengono la metà o più dei nuovi permessi per motivi turistici. Un altro gruppo di paesi, anch'esso scarsamente preso in considerazione nell'attribuzione dei permessi per motivi di lavoro, trova rimedio attraverso le vie della clandestinità: si va dall'Albania ai paesi del Nord Africa, dal Subcontinente Indiano (Sri Lanka) all'Estremo Oriente (Cina).

    La legge 40/1998 sull'immigrazione, avendo introdotto i molteplici meccanismi d'ingresso, può consentire una più funzionale regolamentazione dei flussi migratori. Infatti il precedente sistema delle richieste nominative da parte di residenti in Italia è stato integrato, all'interno della quota annuale, dalle liste per la ricerca del lavoro (che riguardano sia gli Stati legati da accordi sia gli altri Stati), dalle prestazioni di garanzia, dalla chiamata per lavoro stagionale e, seppure transitoriamente, dal recupero di chi non ha goduto della precedente regolarizzazione.

    E' necessario però che la nuova legge venga completata e attuata integralmente in tutto il suo impianto operativo. Solo in un contesto così organicamente strutturato i campi di accoglienza, dove viene temporaneamente trattenuto chi entra irregolarmente in Italia, avranno una funzione del tutto residuale, come è stato auspicato in ambito sociale.

    Nell'attuale fase, è compito fondamentale della politica migratoria riuscire a programmare il futuro e incentivare i flussi regolari attraverso la determinazione e la ripartizione di adeguate quote annuali d'ingresso, senza tuttavia trascurare gli immigrati in situazione irregolare, la cui causa, perorata anche dal Papa in previsione del Giubileo, mentre la più ampia presa in considerazione.

    TRASPARENZA

    Superamento di alcuni luoghi comuni

    La pressione dei richiedenti asilo (meno di 2.000 richieste nel 1997) o di chi cerca rifugio umanitario dev'essere ritenuta meritevole della più ampia tutela e distinta dall'immigrazione irregolare.

    Secondo la stima rigorosa, condotta dall'Istituto di statistica dell'Università di Milano nel mese di aprile 1998, vi sono in Italia 235.000 persone in situazioni di clandestinità o irregolarità, con una incidenza del 29% rispetto alla consistenza dei paesi a forte pressione migratoria. L'indice di irregolarità è più alto per alcuni gruppi (Polonia 37%, Romania 32%) e più basso per altri (Albania 21%, Filippine, Marocco ed ex Iugoslavia 16-19%). La ripartizione degli immigrati irregolari tra le aree geografiche non presenta rilevanti scostamenti rispetto all'insediamento degli immigrati regolari: si distinguono, con indici di irregolarità superiori al 30%, il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana e la Campania e, tra i grandi contesti urbani, Torino, Venezia e Napoli.

    Nel mese di maggio 1998 il Ministro dell'Interno ha presentato al Parlamento un "Rapporto sulla presenza straniera irregolare", nel quale si smontano vari luoghi comuni sulla base di un'ampia analisi dei dati desunti dagli archivi dello stesso Ministero. Ad esempio, i permessi di soggiorno scaduti non sono l'equivalente del passaggio nell'irregolarità; per di più, se la lettura viene fatta per tipo di permesso, questi dati possono essere utilizzati per una interessante lettura della provenienza dei flussi dai vari paesi del mondo.

    Il confronto tra le regolarizzazioni del 1990 e del 1996 indica che la pressione migratoria, per quanto riguarda le provenienze continentali, ha conosciuto i seguenti valori: Africa (40%, mentre nel 1990 la sua incidenza era più alta), Europa orientale e Asia (25%), America Latina (10%).

    I respingimenti alle frontiere, riguardano per oltre il 50% i Paesi dell'Est europeo, e nel 1997, per la prima volta in tutti gli anni novanta, sono scesi sotto le 40.00 unità (39.888 nel 1997, mentre nel 1996 furono 54.144 e nel 1995 ben 62.443). Nel 1997 le denunce (56.457), gli arresti (23.518) e le intimazioni di espulsione (48.965) riguardanti cittadini extracomunitari, rispetto alla media dell'ultimo quinquennio, hanno conosciuto un incremento inferiore all'aumento della popolazione straniera regolare e irregolare; di converso è aumentata l'efficacia nell'esecuzione delle espulsioni (8.344) e la presenza in carcere (11.214): si tratta di 20-25 punti percentuali in più rispetto alla media dell'ultimo quinquennio. Non è, invece, agevole confrontare il tasso di criminalità degli italiani con quello degli stranieri, perché non si è in grado di distinguere in maniera adeguata tra regolari e non; sappiamo che gli irregolari rappresentano più dei _ del totale in materia di addebiti giudiziari.

    Enfatizzazione delle vie regolari

    Il ridimensionamento dell'immigrazione clandestina passa necessariamente attraversoil potenziamento dei flussi regolari. Il ritmo annuo di crescita della popolazione straniera è stato stimato tra le 50mila e le 70mila unità, in maggior parte prodotto dalle tre regolarizzazioni del 1986, del 1990 e del 1996 (che hanno coinvolto complessivamente 600.000 persone) e non della programmazione. Bisognerebbe, perciò, essere realisti nel portare verso l'alto le quote d'ingresso (utili anche sotto l'aspetto demografico) e, come accennato, all'interno di tali quote rendere più flessibili i meccanismi di ingresso per evitare che l'avventura dell'immigrazione irregolare continui a essere considerata la più facile o l'unica soluzione possibile.

    Con il termine trasparenza abbiamo inteso l'enfatizzazione di una programmazione lungimirante e il superamento delle vie dell'irregolarità e della clandestinità, che arrecano benefici solo ai trafficanti di manodopera mentre causano seri inconvenienti agli immigrati che vi sono implicati e al paese che li accoglie.

    Collaborazione con i paesi di origine

    La politica migratoria, per non essere velleitaria, richiede una collaborazione efficace con i paesi di origine degli immigrati. Nel passato i paesi industrializzati sono stati scarsamente portati ad accettare come partner i paesi in via di sviluppo solo da ultimo è diventato evidente che senza di loro il fenomeno non si governa.

    La nuova legge incentiva il Governo italiano a perseguire la via degli accordi con i paesi di origine. In tale contesto non possiamo limitarci alla richiesta di misure di controllo e di repressione dei traffici, trascurando il grande problema dello sviluppo in loco, tra l'altro da collegare con la rivitalizzazione dell'aiuto allo sviluppo anche con le rimesse degli immigrati (566 miliardi di lire nel 1997 dall'Italia attraverso le vie ufficiali) e il loro utilizzo ai fini dei progetti di cooperazione.

    Caritas



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