Quando Federico II vinse la pace
 
 
" Commento. Quando federico II vinse la pace , On. Agostino Spataro "
 
 

 

Dopo il criminale e devastante attacco terroristico contro gli Usa, diventa davvero difficile immaginare un percorso praticabile che porti a una pace fra israeliani e palestinesi. Le due torri gemelle di Manhattan sono crollate anche sopra questo interminabile (dura da 53 anni) e sanguinoso conflitto e peseranno sulla difficile ricerca di una pace equa e durevole. Perciò è auspicabile che, al più presto, siano esattamente individuate e colpite le responsabilità e che si riannodi il difficile dialogo fra governo israeliano e autorità palestinese. Non serve altro odio e altro sangue, già ne scorre abbastanza in Israele, in Palestina, sopra i colli della vecchia e della nuova Gerusalemme. Città "santa" per antonomasia per le tre principali religioni monoteiste, da cinquemila anni causa e sede dei più atroci eccidi compiuti, sotto differenti stendardi, in nome e per conto dello stesso Dio. In che cosa consista la "santità" di questa città, davvero, non si capisce.

Mentre scorrevano le agghiaccianti immagini dei telegiornali, ci è balenato alla mente uno straordinario evento storico, verificatosi 7 secoli addietro, che dimostra come, almeno quella volta, si "conquistò" la pace fra cristiani e musulmani senza spargimento di una sola goccia di sangue. E ci piace sottolineare come quell'evento vide, in qualche modo, associati i nomi di Palermo e della Sicilia a quelli di Gerusalemme e della Palestina. Ci riferiamo alla sesta Crociata, all'anomala e controversa spedizione di Federico II, re di Sicilia e imperatore (scomunicato) del Sacro Romano Impero, che il 7 settembre 1228 approdò a San Giovanni d'Acri, sulla costa palestinese, a capo di una flotta e di un esercito interamente raccolti nel regno di Sicilia, per strappare i luoghi santi da sotto il dominio dei discendenti del "feroce" Saladino.

Sfidando le ire e le due scomuniche proclamate dal papa Gregorio IX contro Federico, l'arcivescovo di Palermo, Berardo, volle accompagnare l'imperatore nella sua ardita missione. In realtà, quella di Federico non fu una vera crociata, ma un'operazione politica davvero eccezionale, forse unica, per l'epoca e per le modalità con cui fu realizzata, poiché fra il capo dell'armata cristiana e quello del soverchiante esercito mussulmano si stabilì subito un'intesa mirante a risolvere la controversia mediante un accordo onorevole.

L'imperatore, che più di tutti desiderava evitare lo scontro militare, scrisse al sultano d'Egitto, Malik al Kamil, parole d'amicizia e di stima e gli inviò suoi legati, con ricchi doni, a spiegargli le ragioni della sua forzosa presenza in terra di Palestina. Il sultano gradì molto l'amabilità del gesto di Federico, ricambiò con più magnificenza i doni ricevuti e lo informò del fatto che anch'egli era costretto a difendere Gerusalemme per evitare le ire dei suoi correligionari mussulmani.

Insomma, entrambi i sovrani erano stati costretti a una prevedibile carneficina perché «Dio lo vuole», questo era lo slogan coniato alla bisogna dal clero cristiano e dagli imam islamici che alimentava il peggiore fanatismo religioso che trasformò entrambi i campi in una massa d'invasati impazienti di andare allo scontro.

Nel campo crociato montava la protesta per l'atteggiamento dilatorio dell'imperatore che non si decideva a dare battaglia; pur di dimostrare la sua "doppiezza", i rappresentanti del Papa ordirono la congiura dall'interno e tentarono perfino un'intesa col nemico musulmano il quale sdegnosamente rifiutò la profferta, tanta era la stima che il sultano nutriva per l'imperatore.

Federico, noncurante di quanto avveniva nel suo stesso campo, s'intrattenne per cinque lunghi mesi in piacevoli trattative (con al centro dotte discussioni di algebra e di geografia, di poesia e di astrologia, di filosofia e di scienza veterinaria) col suo vecchio amico Fahr El Din, ambasciatore del sultano, che aveva già conosciuto alla corte di Foggia e fors'anche di Palermo.

L'11 febbraio 1229, finalmente i negoziati si conclusero con un accordo soddisfacente per entrambe le parti: in cambio di un trattato di alleanza, il sultano rimetteva all'imperatore Gerusalemme e gli altri luoghi santi della cristianità, mentre ai mussulmani veniva garantito il diritto del libero accesso alle moschee di Al Aqsa e di Omar. E fu così che Federico entrò da "conquistatore" a Gerusalemme, di cui si autoproclamò re, senza che una goccia di sangue fosse versata da ambo le parti.

In tutta la storia pentamillenaria di Gerusalemme fu forse questa l'unica volta in cui una controversia politicoreligiosa fu risolta in modo incruento, sulla base di un accordo di pace che assicurò un lungo periodo di convivenza civile e religiosa alla Palestina e, in generale, all'area mediterranea. «Questo particolare - spiega lo storico tedesco Heberard Horst (autore di "Federico II di Svevia") - fa della crociata di Federico la più singolare di tutte le crociate: un'impresa quasi incomprensibile per la mentalità aggressiva, lineare, intransigente dei crociati occidentali... Il comportamento dei due sovrani può essere compreso soltanto con la mentalità araba, alla quale Federico era molto proclive sin dai tempi della sua adolescenza palermitana».

È La Sicilia, che allora vide partire il suo illuminato re per quella memorabile crociata, oggi vive con apprensione, data anche la sua collocazione geostrategica nel Mediterraneo, la tragica evoluzione degli eventi e, non essendoci un Federico in circolazione, si affida all'Europa (l'unica entità politica che ancora lo può fare) affinché metta in atto una decisa azione politicodiplomatica per una pace globale e giusta nella regione e per porre fine a questo interminabile conflitto.

Commento. On. Agostino Spataro. La Repubblica, Palermo, 16 settembre 2001

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