LETTERA DALLA CIVILTA' ARABA

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Lettera dalla civiltà araba
di TAHAR BEN JELLOUN

 

Signor presidente del Consiglio, avrei voluto scriverle nella lingua di Dante, ma ammetto di non esserne capace. L'Italia non ha colonizzato il Marocco, mio paese natale. La mia lettera è tradotta. Sa che io penso in arabo e scrivo in francese, ma mi capita anche di sognare in italiano? E confesso che mi fa piacere, perché il suo paese mi piace molto, per la sua civiltà, la sua cultura e anche per la sua cucina.

Quando ero bambino i miei genitori scelsero di iscrivermi a una scuola bilingue. Di mattina imparavo il francese e di pomeriggio la lingua araba, ma non quella che si parlava in casa: quella del libro sacro, il Corano, la lingua classica, detta arabo letterario. I miei genitori avrebbero potuto decidere di farmi frequentare una scuola in cui si fosse insegnato solo l'arabo, ma hanno preferito l'avventura del bilinguismo. Oggi si direbbe che hanno scelto l'apertura verso la cultura occidentale, e proprio quello era il senso della loro scelta. L'amore per la cultura e la lingua araba ci veniva inculcato dalla scuola coranica, una specie di scuola materna in cui si fa studiare a memoria il Corano a bambini che non hanno ancora l'età per entrare alle elementari. Ritenevano che fosse opportuno imparare anche la lingua degli altri.

Questa curiosità per gli altri, questo interesse per la cultura e la civiltà dello straniero, è una vecchia tradizione del mondo arabomusulmano. Non vorrei sembrare scortese ricordandole alcuni fatti storici, perché so che lei è una persona colta e molto istruita: mi è stato detto che lei legge moltissimo, almeno due libri alla settimana, e che parla diverse lingue, inglese e francese fluentemente ma soprattutto che lei è uno specialista delle lingue regionali dell'Africa subsahariana. Non le farò l'affronto di ricordarle tutto quello che l'Occidente deve alla cultura araba. No, tutto questo lei lo sa benissimo. I suoi consiglieri hanno certamente compilato la lista delle parole arabe che Lei usa tutti i giorni: alcol, sofà, zero, algebra, albicocca, divano, caffè, sorbetto, spinacio, moka, materasso, riso, arancia, zucchero, bergamotto, scacco, alcova, zafferano, canfora, soda, lillà, cremisi, caraffa, limonata, etc. Le parole di origine araba introdotte nelle lingue neolatine si contano a migliaia.

Questo lei lo sa come sa che, contrariamente a quanto dicono alcuni storici, che non è stato Flavio Gioja, un italiano di origine amalfitana, a inventare la bussola. È dagli Arabi (dell'XI secolo) che deve aver conosciuto quello strumento di navigazione. A quell'epoca, ma lei lo saprà certamente, vista la sua grande cultura e la sua passione per la storia delle scienze, i bastimenti mercantili arabi solcavano i mari dall'Oceano Indiano all'Impero di Mezzo (si tratta della Cina, ndr). Lei sa bene quanto me che Flavio Gioja scoprì la bussola nel porto di Amalfi soltanto nel 1269, perché a quell'epoca Venezia e Amalfi furono le prime città marinare a intraprendere rapporti commerciali con gli Arabi.

Forse sarebbe di cattivo gusto ricordare che nel XII secolo i chimici arabi, su richiesta dei loro sovrani, hanno dovuto studiare gli effetti incendiari ed esplosivi della polvere da sparo. Ma io preferisco parlarle di poesia, di filosofia, di medicina, di astrologia e perfino di cucina. Tra il IX e l'XI secolo, migliaia di studiosi arabi andavano a Baghdad, in Europa, in Persia, in Cina, a raccogliere manoscritti filosofici o scientifici per tradurli in arabo. Non vorrei abusare del suo tempo prezioso, ma vorrei in poche parole dirle che noi Arabi continuiamo a essere interessati alla vostra cultura e alla vostra civiltà, che traduciamo tutti i testi importanti in campo letterario e scientifico. Non pensiamo che una cultura debba essere superiore a un'altra. Non siamo in una competizione sportiva. Le culture sono complementari: con le loro differenze contribuiscono ad arricchire il patrimonio della civiltà universale. Certo, abbiamo dei problemi.

Il periodo aureo del mondo arabomusulmano è ora lontano. La nostalgia è una brutta malattia. Allora si cerca di evitarla. L'islam è stato sfigurato da persone prive di coscienza. Sappia che questo ci fa soffrire. Quanto alle sue dichiarazioni, devono esserle sfuggite perché l'esercizio del potere affatica e lo stress induce all'errore. Non si sa più quel che si dice. Ma in quanto uomo di cultura, so che lei dubita, perché ha letto le opere del grande filosofo arabo Ibn Al Muqaffa (VIII secolo). Fu uno dei primi pensatori musulmani a introdurre la ragione critica e il dubbio nel pensiero e nella filosofia islamica. Fu lui a tradurre in arabo le favole indiane "panchatantra", più note con il titolo "Kalila e Dimna", che La Fontaine avrebbe poi letto nella traduzione francese (pubblicata in Francia nel 1644), ispirandosene per le sue famose "favole". Insomma, tra il dubbio e le favole, il mondo aspetta il suo mea culpa! (traduzione di Elda Volterrani)

"LA REPUBBLICA", 29 settembre 2001


Speciale strage americana.
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