Intervista a Franco Cardini, docente universitario e studioso dell'Islam: l'attentato in Usa ha messo a nudo le paure di questa civiltà
"Da oggi il nostro mondo è più fragile"
"Non tutti i musulmani sono uguali.
Il fondamentalismo è un atto politico, la religione è solo un paravento"


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Di: Elena Percivaldi, pubblicato su PADANIA il 13 settembre 2001

Gli attentati a New York e a Washington sono di quelli che non sidimenticano. E mentre nella mente scorrono le terribili immagini degli edifici sventrati e delle vittime innocenti, e torna l'orrore e lo sgomento per un fatto che ha sconvolto il mondo e probabilmente cambiato la storia, abbiamo chiesto a Franco Cardini, uno dei medievisti più noti e grande studioso del mondo islamico - intellettuale spesso controcorrente -, di aiutarci a capire come un evento del genere possa essere accaduto, quali isuoi presupposti e quali le motivazioni che hanno portato decine di kamikaze a causare una strage immane e a colpire al cuore i simboli di una società.

> Professore, un suo giudizio, da storico, sull'accaduto.

"Si tratta senza dubbio di uno dei più gravi attentati di sempre, sia quantitativamente, per gli obiettivi colpiti e per il numero di morti, sia qualitativamente, per la sua forte connotazione simbolica. Le torri sono il simbolo della globalizzazione e degli Stati Uniti, la potenza-guida di questo fenomeno complesso che porta alla cancellazione degli Stati, al loro superamento e alla loro sostituzione con l'egemonia dei grandi gruppi internazionali. È paradossale, anzi, che sia proprio una federazione di Stati ad essere fautrice di un processo che porta al superamento degli Stati stessi. Il pentagono, invece, è il simbolo militare dell'America. Chi ha pensato l'attentato, quindi, lo ha fatto con grande lucidità".

> E' un atto di guerra?

"L'operazione militare, ingente, nasconde molto più di quanto possa sembrare. Ho sentito definire l'attentato un gesto "religioso". Io credo che questa definizione sia giusta, ma solo se intesa nel senso che chi lo ha messo in pratica ha compiuto una sorta di grande sacrificio con cinquanta persone, i terroristi, che hanno scelto di morire. La capacità di immolarsi per un ideale è un elemento che l'occidente ha ormai perduto e che altre culture hanno mantenuto. Noi moriamo per incidenti, oppure ci ammazziamo per noia o per folle raptus. Il sacrificio, invece, è un elemento arcaico, che lega ad una tradizione. È qualcosa che dà senso alla vita. Se vogliamo chiamarlo fanatismo, facciamolo pure: è una definizione che tranquillizza. Ma dare una definizione non significa fornire una spiegazione".

> Lei prima ha parlato di simboli. Perché allora non colpire la Statua della Libertà, che senza dubbio da questo punto di vista è ancora più pregnante? Forse perchè la strage sarebbe stata minore e quindi meno "efficace"?

"Non è solo quello. La Statua rappresenta un simbolo che i terroristi non volevano colpire. A loro non interessava atterrare l'orgoglio dell'America, ma i centri nevralgici dai quali si controlla il mondo. Quest'atto è di una raffinatezza superiore a Pearl Harbor. Ha richiesto mezzi sofisticatissimi e know how, ma nel contempo possiede caratteri di estrema arcaicità: il dirottamento è quello classico, fatto nel più classico dei modi, e con armi - i coltellini - che in sé fanno ridere. Ma guardiamo l'inadeguatezza e la fragilità dell'occidente. Non solo quella "oggettiva" - come tale impresa sia sgusciata tra le maglie dei servizi segreti -, ma anche quella psicologica".

> Cioè?

"Tutti i mezzi di comunicazione hanno sottolineato la reazione all'attentato ponendo l'accento sulle file per donare il sangue, sul Congresso che cantava "God bless America". Ma le cose non sono così rosee come sembrano. Nella gara di solidarietà è entrata una vena di follia. La rappresaglia annunciata, ad esempio. In cinquant'anni abbiamo continuato a condannare le rappresaglie naziste. Si parla di rappresaglia, si intende vendetta. Ma contro chi? Contro i montanari afghani? Contro i contadini palestinesi? Vogliamo sparare nel mucchio? Così facendo, noi che ci consideriamo una società progredita e civile ci mettiamo allo stesso livello di quelli che condanniamo come criminali. L'occidente ha dimostrato una grande fragilità. Sono saltati i sistemi Internet e i telefoni: con piccioni viaggiatori e telegrafo avremmo comunicato meglio".

> È in discussione, insomma, la nostra civiltà, vacillano i nostri punti fermi?

"È fragile il nostro essere occidentali. Noi da decenni non proviamo più niente, come civiltà siamo ricchi, viviamo in pace. Sulla guerra, semmai, ci si guadagna. Tanto la si combatte sempre a casa altrui". Insomma, mi pare di capire che la nostra sia una fiaba da riscrivere: stiamo tutti bene, siamo tanto civili e pacifici, ma il rovescio della medaglia è che siamo dannatamente fragili e vulnerabili. Il nostro mondo ci piove addosso...

"Guardando certe scene mi è sembrato un blackout. Assalti ai negozi, risse per accaparrarsi litri di benzina lievitata di prezzo... In questo finimondo, va bene tentare di impedire che i terroristi ci colpiscano, ma approfittiamone anche per fare il punto su ciò che siamo e che stiamo diventando".

> Come giudica chi in queste ore balla per le piazze e festeggia l'orgia di sangue?

"Trovo tali manifestazioni ributtanti, ma invito a non prenderle troppo sul serio. Sfido chiunque si senta represso, frustrato e vittima di ingiustizia a non esultare quando il nemico viene ferito ed umiliato".

> Dunque li giustifica?

"No, devono vergognarsi. Ma bisogna sforzarsi di capire. Quello di martedì è stato un atto di guerra e di svolta. Abbiamo imparato che l'occidente è vulnerabile. Finora gli Stati Uniti sono stati abituati a fare incursioni belliche muovendosi in base al dogma: non si deve perdere un sol uomo nostro, altrimenti cade il governo e il presidente non viene rieletto. Meglio allora gettare le bombe intelligenti, ma stando molti metri sopra il getto di tiro della contraerea. L'idea guida è stata che il nemico è ipervulnerabile mentre noi siamo come Achille. Ma anche noi abbiamo il nostro tallone".

> Qualcuno già parla di vigilia della terza guerra mondiale. Lei condivide questi allarmismi?

"L'11 settembre 2001 resterà una data epocale. Gli Usa si sono resi conto che qualcosa nel mondo è cambiato. La terza guerra mondiale è già in atto. Guardi cosa accadde nel 1977. Gli Stati Uniti e Panama firmarono un trattato che prevedeva che nel 2000 il canale tornasse in gestione ai centramericani. Gli americani hanno rovesciato governi, appoggiando personaggi di loro gradimento. Anche Noriega. Quando però mostrò di volere davvero la restituzione del canale, fu imprigionato e nell'incursione morirono dodicimila panamensi. Forse questi morti non hanno lo stesso valore biologico di quelli di oggi? La guerra c'è già. Si chiama Afghanistan, Baghdad, Bosnia, Belgrado... Gli Stati Uniti hanno appena teorizzato il loro diritto a costruire lo scudo spaziale per colpire senza essere colpiti. Ma lo scacco li mette a nudo. Non se l'aspettavano, la risposta alle loro incursioni non era attesa. Ciò che rende quest'atto diverso da quelli che loro stessi hanno perpetrato per anni è solo che si tratta della prima azione davanti alla quale tutto l'occidente, compatto, si è indignato".

> Ci sarebbero dunque morti di serie A e morti di serie B. Ma non si può negare che l'attentato sia stato un atto esecrabile. I responsabili?

"Se la domanda è: una religione? rispondo: no. Si tratta di un atto politico. Ad armare la mano del terrorismo è il fatto che nel mondo esiste una tremenda sperequazione di giustizia. Il 20% dell'umanità detiene le risorse e gestisce la vita di tutto il globo, mentre il restante 80% sono indigenti. L'occidente non vuol sapere che questa è la verità, ed anzi si serve degli Stati Uniti come cane da guardia per mantenere lo status quo".

> Una domanda secca: perché si diventa terroristi?

"Le dico come ragiona uno di loro: la pace è un bel principio, ma se serve a rinforzare le basi dell'ingiustizia, allora la rifiuto. Di più, tento di rovesciarla con mezzi sempre più potenti. Prendiamo gli irlandesi dell'Ulster. Hanno cercato in tutti i modi di far sentire le loro ragioni, ma invano. Sono stati presi sul serio solo quando hanno cominciato a fare esplodere i pub inglesi. Ecco, le torri gemelle sono state, in questo caso, un grande pub di Londra. Resta da chiedersi perché. Il terrorismo islamico non è solo odio e fanatismo. Si parla tanto di guerra santa perchè il Corano contiene qualche versetto che può essere interpretato in tal senso. Mi creda, non è nulla rispetto alla Bibbia. Gesù diceva: "Io non sono venuto a portare la pace ma la guerra". Estrapoliamo la frase dal contesto?".

> Islam e fondamentalismo: due mondi confinanti?

"L'Islam si fonda sul rapporto teologia-diritto, non concepisce lo stato laico come lo intendiamo noi. L'errore sta nel vederlo come un blocco monolitico, ma ci sono molti modi di essere musulmani. Tra Bin Laden, re Hussein e Arafat c'è una differenza abissale. Una differenza non nonostante l'Islam, ma nell'Islam. L'Islam non ha chiese, non ha papi: è musulmano chi crede in Allah e nel profeta Maometto, e segue le cinque regole. La sua forza è l'esegesi, fondata sul sincretismo e su una pluralità di culture. Ricordiamoci che la modernità in occidente è decollata grazie agli arabi, che nel Medioevo ci hanno insegnato la matematica, la medicina, l'astronomia. Oggi le culture islamiche sono entrate nell'eclissi a causa dell'espansione dell'occidente, che le ha rapinate per secoli. Ora è in atto il loro risveglio politico, e si trovano davanti ad un bivio: accettare l'egemonia dell'occidente e perdere la propria identità - e quindi accettare il ruolo di masse di lavoro in balia delle multinazionali - oppure scoprire al loro interno un valore. L'unico veramente loro è la religione".

> Dunque il terrorismo ha una base religiosa?

"No. Il terrorismo è un atto politico di liberazione dallo sfruttamento da parte dell'occidente, che opera in nome di una realtà religiosa. Altri strumenti, che avrebbero potuto creare altri tipi di identità, hanno fallito. È fallito il tentativo di farli riconoscere in una patria perché laddove l'esperimento è stato tentato ha creato regimi subordinati all'occidente. Esempi? Mustafà Kemal, lo scià di Persia, la Paestina, Nasser. Quest'ultimo ha creato il nazionalismo arabo più maturo, e ha seguito due modelli: il fascismo per l'apparato, l'Urss come alleato. Naufragò nel '67 e fu l'inizio della rinascita di un Islam nuovo. Fu allora che gli islamici capirono che occorreva emanciparsi dall'occidente. L'Islam rispetta chi crede, ma combatte il paganesimo. Rispetta i "popoli del libro", ma non l'occidente che degenera verso il neopaganesimo".

> C'è il rischio di una guerra santa?

"Il jihad, o sforzo nel cammino di Dio, non è stato proclamato da nessuno, non esiste un capo che tutti seguono. Se Bin Laden vuole fare guerra, è un'iniziativa sua. Il fondamentalismo è la guerra contro il Satana occidentale, dal quale alcuni vogliono liberarsi. Ma questa non è religione, è politica. I fondamentalisti odiano gruppi musulmani che pregano e si dedicano alla mistica (sufismo, dervisci) perchè essa secondo loro distrae dalla guerra contro il Grande Satana. L'unico dovere che i musulmani hanno è l'obbedienza a Dio. Fare di ogni erba un fascio è sbagliato e pericoloso. Disconoscerlo vuol dire disconoscere la base della modernità".

 


Speciale strage americana.
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