DOMANDA SULLA PALESTINA / di Miguel Martinez*

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Carissimi, un mio amico mi aveva posto una domanda sulla Palestina; e la mia risposta, a mano a mano che la scrivevo, e' cresciuta fino a trasformarsi in una specie di manifesto sulla situazione.

Miguel Martinez

 

Vorrei un'informazione: conosci qualche fonte dalla quale possa documentarmi sugli attuali "kamikaze" palestinesi?

dipende dal significato della domanda. Su Internet credo che si possano trovare con una certa facilita' i comunicati delle organizzazioni coinvolte, ma ovviamente il loro linguaggio da' per scontate tante cose - cosa ne capirebbe un palestinese, ad esempio, di un volantino italiano dove ci fosse scritto, "dopo il decreto salvaladri, vogliono toglierci l'articolo 18!"

Se accantoniamo i ragionamenti morali, fatti a comoda distanza, credo che possiamo distinguere due piani, uno politico-strategico e uno psicologico-sociologico.

Sul piano politico-strategico, il discorso e' talmente semplice da essere ovvio. I palestinesi hanno aspettato sette anni - dal 1993 al 2000 - senza muoversi, nella speranza di ottenere cio' che era stato promesso loro a Oslo. Invece la via del silenzio, dell'inazione e del negoziato ha comportato solo un peggioramento della loro situazione, una crescita delle colonie, un rinvio continuo della pur minima concessione. Insomma, si sono accorti che piu' tacevano, e piu' li fregavano.

Almeno finche' Sharon non ha deciso di far precipitare tutto con la sua marcia su al-Aqsa.

A questo punto i palestinesi hanno pensato che la passivita' avrebbe segnato la loro fine; e hanno scelto di ribellarsi. Un popolo poverissimo si e' trovato a scontrarsi con uno degli eserciti piu' potenti del mondo. E quindi hanno scelto di colpire dove potevano, nella speranza che gli israeliani stessi si convincessero dell'esistenza dei palestinesi.

Il guaio e' che anche questa scelta e' perdente, quanto quella negoziale. I palestinesi perdono militarmente, per motivi ovvi; ma soprattutto riescono a risvegliare l'interesse mondiale delle comunita' ebraiche per Israele, compattando contro di loro un nemico colto e benestante in grado di influenzare le scelte politiche di tutto l'Occidente, il quale a sua volta e' in grado di decidere cio' che fa il resto del mondo. E forse questo spiega la decisione di Sharon di scatenare l'inferno, a spese di qualche povero immigrato arabo o russo di vaghissima ascendenza ebraica, i piu' esposti della societa' israeliana.

Non parliamo poi delle conseguenze spaventose che la ribellione palestinese ha in termini poi di rappresaglie, di distruzione di case, di risorse, di chiusura ai palestinesi del mercato del lavoro nero dove ormai sono stati sostituiti da tailandesi, cinesi e africani (oggi circa 500.000 persone, come se in Italia avessimo importato sei milioni di extracomunitari al solo scopo di privare i meridionali di ogni reddito).

Quando una comunita' si trova sull'orlo dello sterminio, si innescano dinamiche suicide: forse non e' un caso che tanti palestinesi siano morti facendosi saltare in aria senza riuscire nemmeno a colpire qualche bersaglio. Nei lager e nei campi di prigionia, le condizioni fisiche di detenzione spiegano solo in parte il tasso di mortalita'; si racconta che i nativi americani, una volta cacciati dai loro spazi, privati delle loro forme di sussistenza, distrutti nei loro legami sociali, si siano spesso semplicemente lasciati morire. Anche perche' in questo particolare caso, manca ogni speranza di uscire tramite l'integrazione: la situazione dei curdi in Turchia e' terribile, ma la Turchia comunque offre la scappatoia, "basta decidere di diventare turchi". In Palestina, non si puo' decidere di "diventare ebrei", nemmeno volendo.

Io credo che chi prova dolore per la Palestina - cioe' chiunque abbia un minimo di dignita' umana - debba capire che sono fallimentari *sia* la lotta armata che il negoziato. Che la soluzione non potra' mai essere "due popoli con due stati" e neppure "facciamo incontrare Peres con Arafat". Un concetto che peraltro esclude, come si e' fatto per oltre un decennio, i palestinesi stessi; e si capisce perche' gli israeliani gradiscano i negoziati segreti e privati, vista la totale incompetenza di Arafat.

La soluzione e' fallimentare perche' Israele non ha alcuna intenzione di cedere nulla, come ha dimostrato ampiamente in 35 anni. E' fallimentare perche' comunque 3 milioni di palestinesi semplicemente non ci stanno sui due pezzettini di terra che costituiscono il 22 per cento della loro patria, soprattutto quando Israele ha gia' dichiarato che non potranno avere contatti con l'estero, che ci sara' un muro a dividerli dalla ricchezza di Israele e che la loro terra continuera' a essere solcata dalle strade a segregazione razziale. Almeno questo e' quanto si capisce il governo israeliano avrebbe offerto ad Arafat alcuni anni fa a Taba: e' considerato perfettamente normale dire che "noi abbiamo fatto un'offerta al vostro capo e anche se non saprete mai in che cosa consisteva quell'offerta, voi come sudditi dovevate accettarla".

No, l'unica soluzione che abbia un senso e' rendersi conto che la famosa "Linea Verde" e' esistita solo per 19 anni ed era semplicemente la linea del cessate il fuoco. Che, come dice Israel Shamir, la terra tra il Giordano e il mare e' la terra di *tutti* i suoi abitanti e che l'unica soluzione e' quella sudafricana: niente Bantustan, diritti umani uguali per tutti gli esseri umani. Oltretutto, non ci sarebbe bisogno di smantellare le famose colonie: un ebreo puo' vivere liberamente a Hebron, *se* un cristiano puo' comprare liberamente una casa a Tel Aviv o un musulmano una casa a Gerusalemme Ovest.

Non importa come si chiamera' questo stato, Israele o Palestina. Il Sudafrica volevano chiamarlo Azania, se ben ricordo, ma poi hanno capito che la giustizia non e' una questione di nomi, non si realizza con la vittoria.

E' un'utopia? Il Sudafrica ci dimostra che e' possibile. Ma non e' comunque piu' utopico dell'alternativa. Perche' non esisteranno mai i "due stati". Nella migliore delle ipotesi, esistera' un ghetto in cui saranno rinchiusi tutti i palestinesi. Nella peggiore delle ipotesi, tra suicidi, bombardamenti, negoziati che rinviano tutto alle calende greche, distruzione sistematica delle infrastrutture, si realizzera' comunque lo Stato unico, ma etnicamente ripulito dai suoi abitanti nativi.

Sharon sta cercando di realizzare proprio questo. Ma - e torno alle affermazioni spesso poetiche, ma anche profetiche e geniali di Israel Shamir - proprio questo offre una speranza: il superamento del deleterio sogno dei "due stati".

* Miguel Martinez / http://www.kelebekler.com



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