"Vignette di Maometto" *

di Sherif El Sebaie


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La vicenda delle "Vignette di Maometto" che ha messo sotto sopra l'Unione Europea e il mondo musulmano in questi ultimi due giorni fà, per dir la verità , una vicenda assai datata e che si trascina ormai da mesi. Se non fosse per l'ostinazione dei "Colpiti dalla fattah", dei provocatori mediatici e degli agitatori professionisti che si trincerano dietro la libertà  di espressione per buttare benzina sul fuoco dello scontro tra le civiltà , probabilmente sarebbe persino passata sotto silenzio, dopo la fase iniziale di indignazione che aveva suscitato fra i musulmani residenti in Danimarca. Ricapitoliamo velocemente la storia: qualche mese fa, lo scrittore danese Kare Bluitgen ha lamentato il fatto di non essere riuscito a trovare un artista disposto a illustrare un suo libro, destinato ai bambini, sulla vita di Maometto. E' noto infatti che, al di fuori di alcune miniature medievali indiane, persiane o ottomane (e quindi tutte influenzate da culture non arabe), Maometto viene solitamente rappresentato con il volto coperto o non rappresentato affatto per rispetto della tradizione ortodossa islamica che vieta le raffigurazioni umane, in particolar modo quella della persona di Maometto. Non si tratta affatto di un'inclinazione isolata ma di un atteggiamento comune a tutto il mondo islamico (anche se particolarmente esacerbato dai Wahabiti dell'Arabia Saudita che avevano - almeno inizialmente - persino distrutto la tomba del profeta prima di ricostruirla nuovamente) che già  durante il secondo e terzo secolo dell'Egira (VIII e IX secolo), concepì nella sua tradizione teologica-giuridica una forte ostilità  verso le immagini antropomorfe e degli esseri viventi facendo risalire - tramite tradizioni ed aneddoti - a Maometto stesso la condanna. La comune credenza popolare considerava che tutte le raffigurazioni di esseri viventi con un'anima (nafs) o un respiro (ruh) fossero povere imitazioni o copie e pertanto un affronto all'opera stessa di Dio. Tuttavia la legge islamica concedeva ai propri artisti delle raffigurazioni imitative purché fossero di alberi, foglie, fiori, selle, e cioè di oggetti "senza anima". Ovviamente il divieto non è stato spesso osservato - anzi - e l'arte islamica ci ha lasciato in eredità mirabili raffigurazioni di battute di caccia, feste regali e altro ancora. Ma è indubbio che la pressione dell' opinione pubblica musulmana portò pian piano gli artisti a limitare l'uso delle forme antropomorfe e raffigurative del raffinato mondo (persiano, greco, romano, bizantino ecc.) che li aveva preceduti a favore delle comunque meravigliose composizioni geometriche, floreali e calligrafiche a carattere astratto che oggi ricoprono i soffitti, le pareti e le porte delle moschee e dei palazzi islamici: in poche parole anche in mancanza di arte figurativa il mondo islamico ha dimostrato di avere una fertile creatività, confermando il detto "il mondo è bello perché vario". Considerazioni artistiche e storiche a parte, il divieto era anche motivato da una paura di ritorno all'idolatria, il cui ricordo era considerato assai recente specie nei primi anni del messaggio islamico, e da un atteggiamento simile riscontrabile anche nelle altre religioni: In Deuteronomio 5,6-10, Dio disse infatti a Mosè: "Io sono Iavhé, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, da una casa di schiavitù. Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è nel cielo in alto, né di ciò che vi è sulla terra in basso, né di ciò che vi è nelle acque al di sotto della terra". Il divieto della raffigurazione umana è stato superato nei secoli ma quello relativo alla figura di Maometto rimase scrupolosamente osservato: Maometto infatti era ed è tuttora considerato un semplice uomo e i teologi sostengono che la sua raffigurazione potrebbe trasformarne la figura in un santo a cui rivolgersi costantemente, atteggiamento ritenuto blasfemo dai musulmani osservanti (anche se in molti paesi musulmani sia tuttora in voga la pratica del pellegrinaggio presso tombe di personaggi musulmani o anche cristiani considerati santi). Curiosità: persino nei filmati e nei documentari che ne raccontano la biografia, Maometto stesso - ovvero il protagonista principale - non appare. E' il caso de "Il Messaggio", con Anthony Quinn e Irene Papas, dove non c'è nemmeno qualcuno che ne riproduca la voce e addirittura del documentario della History Channel ultimamente allegato a Il Giornale (che forse in buona fede ha piazzato in copertina una miniatura che raffigurerebbe Maometto nonostante il video stesso affermi che Maometto non appare nel filmato per rispetto nei confronti della tradizione islamica).

Ebbene, una volta scoperto questo "punto debole" di natura strettamente teologica, il quotidiano danese Jillands Posten, a mo' di sfida, ha indetto un concorso per delle vignette satiriche su Maometto da accompagnare a una sedicente inchiesta sulla "libertà  di espressione", la foglia di fico con cui ormai si giustifica tutto e tutti, inclusi gli imam che ineggiano alla guerra "santa". Le 12 vignette ricevute, vengono pubblicate lo scorso 30 settembre: non paghi di aver raffigurato Maometto, cosa ritenuta di per sè offensiva dai musulmani di tutto il mondi islamico, dall'Egitto al Sudan, dalla Libia alla Giordania, dalla Siria al Pakistan, lo raffigurano con un turbante pieno di bombe o con un coltello in mano o, ancora, alle porte del paradiso mentre esclama "Non abbiamo più vergini". L'intento provocatorio è palese: persino un laico, che non si offenderebbe per la raffigurazione del personaggio storico rimarebbe offeso per il modo in cui è stato rappresentato, ovvero per questo disgustoso connubio tra Islam e terrorismo. La Comunità musulmana in Danimarca protesta, scende in strada e manifesta pacificamente ma nessuno vuole scusarsi e persino le autorità se ne strafregano dei sentimenti religiosi degli immigrati residenti sul loro territorio. Il tutto, ovviamente, in nome della "libertà di espressione". Evidentemente nessuno ha insegnato a lor signori che la "libertà" di ognuno finisce là dove comincia quella altrui, e che è non è nemmeno tanto civile barzellettare sulle credenze religiose e la spiritualità degli altri. Guarda caso, proprio quelli che si sono sentiti - giustamente - offesi dalle parole di Adel Smith, per il crocefisso descritto come un cadavere in miniatura e poi buttato dalla finestra in nome della laicità dello stato, della scuola o degli enti pubblici, si sono subito riscoperti acerrimi difensori della "libertà di espressione" specie se la cosiddetta libertà consiste nel provocare i musulmani e nell'offendere la loro spiritualità, per quanto possa sembrare assurda agli occhi occidentali che poco sanno del Deuteronomio. E meno male che nemmeno tre mesi fa gioivano per la condanna in primo grado inflitta a Smith per vilipendio della religione cattolica. Smith a parte, è noto che la figura di Gesù viene altamente tenuta in considerazione nel messaggio islamico. Come semplice profeta, anche questo è risaputo, il che potrebbe anche risultare riduttivo per un cristiano osservante, ma comunque una posizione di riguardo che lo mette al riparo delle trasmissini satiriche che lo raffigurano tirato al guinzaglio di cui abbiamo avuto modo di "apprezzare" la creatività in passato. Per carità, ognuno è libero di fare ciò che vuole dei propri simboli religiosi, non si capisce però perché - in nome della libertà di espressione - lo si vuole fare anche con gli altri, che magari gradirebbero essere lasciati in pace, a praticare o non praticare la loro religione, specie se sono musulmani e quindi già nel mirino dei media.

La vicenda rimase confinata, anche e soprattutto mediaticamente, alla Danimarca fino al giorno d'oggi. I colpiti dalla fattah si erano accorti che, al di fuori delle proteste civili e delle manifestazioni pacifiche degli immigrati, spacciate anch'esse dai cialtroni/e di turno per un "ignobile ricatto", nessun esaltato aveva lanciato una condanna di morte o una minaccia di attentato. Quindi cosa si fa? Elementare, Watson: il settimanale norvegese Magazent, pubblica anch'esso le vignette. A questo punto la vicenda comincia a dilagare e a diventare "internazionale" e, puntualmente, compaiono i soliti messaggi che annunciano morte e vendetta via internet che già mettevano la bava alla bocca degli agitatori: "speriamo in un altro caso Van Gogh!". Ma il vero motivo per cui la storia è diventata di dominio mondiale non erano tanto le minacce quanto le formali ed energiche proteste dei governi musulmani. Gli ambasciatori musulmani sono stati richiamati per protesta, la Libia ha persino chiuso la propria sede diplomatica a Copenaghen, la Lega Araba, l'Organizzazione per la Conferenza islamica e la Lega musulmana mondiale hanno deciso di interessare del caso le Nazioni Unite per far approvare una risoluzione che denunci il razzismo, la discriminazione e l'islamofobia, i parlamenti di vari paesi - inclusa la Giordania - hanno discusso della faccenda pubblicamente, per decidere il da farsi. Ma la carta vincente è stata quella economica, come ebbi occasione di sottolineare già altre volte: Dall'Arabia Saudita alla Mauritania è stato promosso il boicottaggio delle merci danesi e norvegesi. Indovinate infatti chi è stato il primo a convincere il premier liberale danese Rasmussen, che a differenza del collega socialista norvegese Stoltenbergs, non voleva prendere posizione, rifiutando persino di incontrare - alcune settimana fa - una delegazione di ben 11 ambasciatori musulmani ? La Confederazione danese degli Industriali. Tanto il governo quanto Jyllands Posten hanno dovuto prendere atto che il boicottaggio da parte dei consumatori musulmani si era esteso ormai a molti altri paesi islamici comprendendo non solo i formaggi ed il burro della grande industria lattiero-casearia Arla Food, ormai costretta a fermare la produzione in queste regioni, ma anche molti altri prodotti come il pollame e i farmaci che la Novo Nordisk ha dovuto togliere dagli scaffali delle farmacie saudite. La Camera di Commercio del Cairo ha deciso il boicottaggio dei prodotti danesi e ha chiesto alle agenzie marittime di bloccare qualsiasi accordo con le linee di navigazione che trasportano merci danesi. La crisi che ha colpito le aziende danesi stava portando alla perdita di molti posti di lavoro e in mattinata il sindacato LO aveva chiesto al primo ministro di prendere le opportune iniziative.

Ennesima figuraccia quindi per gli agitatori professionisti che speravano in un conflitto allargato fra mondo occidentale e mondo islamico sulla vicenda della vignette "satiriche" raffiguranti Maometto: l'editore del quotidiano danese che ha pubblicato le 12 vignette sul Profeta Maometto si è scusato. Il direttore del quotidiano danese "Jyllands-Posten", Carsten Juste, ha scritto in una lettere all'agenzia di stampa giordana Petra, poi pubblicata anche sul sito del quotidiano "Queste vignette non violano la legge danese ma hanno in modo irrefutabile offeso molti musulmani, e per questo noi presentiamo le nostre scuse". Il primo ministro danese Anders Fogh Rasmussen si è "felicitato" con il quotidiano che si è scusato "Ne sono molto lieto, perché il 'Jyllands-Posten' ha compiuto di certo un passo molto importante", ha detto il premier alla Tv danese per dire di non aver apprezzato "personalmente" la loro pubblicazione. "Ho personalmente un tale rispetto per la fede delle persone, che non avrei mai potuto rappresentare Maometto, Gesù o altre figure religiose in un modo che possa essere insultante per gli altri", ha detto il premier alla televisione Tv2. Il ministro degli Esteri austriaco, Ursula Plassnik - presidente di turno dell'Ue - al termine della riunione con i colleghi europei, ha sottolineato che "la liberta' di stampa e di espressione fanno parte dei fondamentali valori ma crediamo che le fedi religiose vadano rispettate nelle nostre societa' poiche' anch'esse rappresentano valori fondamentali". Sarebbe stato carino se simili affermazioni fossero spontanee, e non determinate dall'efficiente boicottaggio economico. Ma non scoraggiamoci, non è finita. La storia potrebbe avere un seguito: qualche intraprendente giornale italiano - come La Padania ad esempio - tanto attento alla situazione economica nazionale (non particolarmente brillante in questo periodo a dir la verità), potrebbe ripubblicare le vignette e rilanciare la sfida. Attendiamo fiduciosi.

Fonte: http://salamelik.blogspot.com

Sherif El Sebaie

Informazioni personali

Nato al Cairo, da madre greca e padre egiziano. Parla correntemente italiano, francese, inglese, greco e arabo. Studia presso il Lycée Francais, la Scuola Greca e l’Istituto Salesiano del Cairo. Più volte decorato dalle autorità francesi, italiane ed egiziane. Vincitore di concorsi internazionali di disegno (Medaglia d’argento della SICC, Concorso Mattel e Edizioni Hachette). Diploma conseguito al Cairo, 100 centesimi e Lode. In Italia per il Politecnico di TO, tra i fondatori della lista Sinistra Polito, eletto rappresentante degli studenti e poi Vice Presidente del Rotaract Susa (distretto Rotary 2030). Dal 2005 Segretario del Coordinamento Immigrati Torino. Segue un corso pluriennale di storia dell’Arte e dell’antiquariato presso la Fondazione Accorsi e fonda l'Associazione Inturin. Opinionista, collaboratore de Il Manifesto, redattore di Aljazira.it, più volte ospite di SkyTg24, ha collaborato con Stampa, Repubblica, Il Giorno, Radio Radicale e Minerva Time. Insegna arabo in un corso presso il Politecnico di Torino e ha tenuto conferenze con Migone, D'Orsi e altri. Nel 2004 cura la mostra "Islam e Cristianesimo ortodosso" e pubblica "Al Ka’bah", pref. di Michele Vallaro.

Articolo ripubblicato da Arab.it in data 21 ottobre 2005


 
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