Sassuolo. I membri della famiglia Qasim sono in tutti i sensi cittadini modello, il tipo di persone che tutti vorrebbero avere come vicini di casa.
Zahi Qasim è caposquadra in fabbrica ed è uno degli esponenti più impegnati della comunità. Sua moglie, Khalwa Ghannam, è un'insegnante che parla fluentemente tre lingue. Osama, 12 anni, è un bambino simpatico e molto bravo a scuola. L'esuberante Ali, un anno, adora gattonare sulle piastrelle della sala, decorata con illustrazioni di proverbi tratti dal Corano, e inseguire il pallone da calcio sotto al tavolo.
Durante una mia recente visita a Sassuolo, cittadina industriale del nord Italia appena fuori da Modena, i Qasim si sono più volte scusati di non potermi offrire il pranzo, perché per loro era in corso il Ramadan.
Ma i Qasim, che sono originari della Palestina, non hanno ancora ottenuto la cittadinanza italiana sebbene abbiano trascorso qui metà della loro vita e abbiano deciso di metter su famiglia in questo Paese. Le restrittive leggi italiane permettono agli immigrati di richiedere la cittadinanza soltanto dopo dieci anni di residenza, e con molte limitazioni. I bambini, entrambi nati in Italia, saranno idonei solo a partire dai diciotto anni. «Ci piacerebbe molto essere italiani», ha dichiarato Ghannam, 37 anni, che è incinta di sei mesi e indossa un hijab color porpora.
La loro vita, sebbene economicamente agiata, è costellata da continui episodi che ricordano loro che non sono pienamente integrati in un Paese che definiscono casa da vent'anni.
A seguito degli attentati a Londra di quest'estate, Qasim, 42 anni, è stato più volte interrogato dalla polizia che gli ha anche perquisito la casa. L'uomo afferma anche che il suo cellulare è sotto controllo. Quando ha invitato a cena alcuni amici di Torino in occasione del Ramadan, la polizia lo ha chiamato per chiedergli chi fossero quelle persone e l'hanno rimproverato di non aver comunicato che avrebbe avuto ospiti. I tentativi di Qasim di comprare un edificio per aprirvi una scuola islamica domenicale sono stati ostacolati per quattro anni dalle istituzioni locali che ritenevano che il luogo non fosse idoneo per via della mancanza di spazi da adibire al parcheggio. Il fatto è che le chiese di Sassuolo non hanno parcheggi riservati.
«È chiaro che tutto questo mi dà fastidio: succede perché sono musulmano e non accadrebbe lo stesso se fossi europeo». Poi ha aggiunto: «Diciamo sempre ai nostri figli che devono lavorare sodo e cercare di essere i più bravi, visto che l'odio non porta da nessuna parte. Questa non è la nostra città e loro hanno il diritto di controllarci se vogliono».
Nelle settimane passate, i leader europei sono stati costretti a riflettere molto in seguito ai disordini in Francia, dove immigrati musulmani di seconda o terza generazione hanno seminato il terrore anche a causa della loro mancata integrazione. E se ciòè accaduto in Francia, dove la maggior parte dei musulmani hanno la cittadinanza, a maggior ragione potrebbe accadere in Italia, Germania, Inghilterra o in qualsiasi altro Paese europeo che abbia grandi comunità arabe.
«Se non interveniamo seriamente con programmi sociali e non risolviamo il problema degli alloggi, potremmo presto assistere anche qui agli stessi avvenimenti di Parigi», ha dichiarato Romano Prodi.
Anche se a causare le violenze a Parigi è stato una particolare combinazione di alienazione, disoccupazione e rabbia, le politiche di governo e gli atteggiamenti sociali in molti Paesi europei contribuiscono a isolare, piuttosto che integrare, gli immigrati, in particolar modo i musulmani, anche se questi vivono in Europa ormai da anni.
Molti musulmani affermano di sentirsi particolarmente esposti dopo gli attentati di Londra che hanno spinto i governi europei a intensificare i controlli alle loro comunità per stanare i terroristi che vi potrebbero essere nascosti. Un islamico sospettato di aver preso parte agli attentati di Londra è stato catturato in Italia, dove si era rifugiato.
Sassuolo, una città di 40 mila abitanti nota per le fabbriche di ceramica, non è mai stata teatro di particolari episodi di violenza. Tuttavia, ci sono state sicuramente scintille e una buona dose di tensione da quando i primi musulmani arrivarono più di dieci anni fa.
Quest'estate ci sono state pesanti proteste da parte degli immigrati e dei sindacati di sinistra dopo lo sfratto degli inquilini di un enorme palazzo, Casa San Pietro, che ospitava principalmente immigrati marocchini.
«C'erano gli spacciatori, le luci e gli scarichi funzionavano male e il palazzo stava cadendo a pezzi», ha dichiarato Graziano Pattuzzi, sindaco di Sassuolo, per spiegare il provvedimento. «I cittadini dicevano che c'erano armi nell'edificio e la polizia si rifiutava di fare dei sopralluoghi, per paura che gli agenti fossero colpiti da lanci di sassi e bottiglie. La situazione era insostenibile».
Un'altra ragione, secondo il sindaco, era quella di voler porre fine alla ghettizzazione dei nuovi immigrati e di promuovere l'integrazione. Ha poi aggiunto che molti esperti sostengono che i quartieri dovrebbero ospitare al massimo il quattro per cento di immigrati: concentrazioni più alte non fanno altro che isolarli dagli italiani e vice versa.
Circa il 9 per cento della popolazione di Sassuolo è composta da stranieri e il 68 per cento di loro sono musulmani. Secondo Pattuzzi, alcuni palazzi sono abitati pressoché interamente da immigrati di origine marocchina.
Anche se capi della protesta hanno ammesso che la zona circostante Casa San Pietro era oppressa dalla microcriminalità, ritengono che questa non abbia nulla a che fare con i residenti, molti dei quali lavoravano e addirittura erano proprietari dei loro appartamenti.
Hanno poi aggiunto che l'amministrazione di Sassuolo ha contribuito ad alimentare un clima di razzismo o perlomeno ha fatto ben poco per contrastarlo.
«Siamo giunti al punto in cui, se apre un call center o un ristorante pakistano, un'associazione dei residenti si mobilita subito per protestare», ha affermato Paolo Brini, a capo di una delle organizzazioni che aiutano gli immigrati.
Un'associazione degli abitanti del quartiere di Rometta sta tentando di impedire la costruzione di un complesso abitativo per paura che attiri un gran numero di immigrati. «È una bomba a orologeria sociale», ha aggiunto Brini.
A differenza di Francia e Inghilterra, in cui gli immigrati delle ex colonie cominciarono ad arrivare alcuni decenni fa, in Italia l'immigrazione è un fatto relativamente recente. A Sassuolo, i primi immigrati sono cominciati ad arrivare a partire dagli anni Novanta, raggiunti in seguito dalle loro famiglie nel corso degli ultimi dieci anni. Attualmente, circa la metà degli alunni nelle scuole di certi quartieri sono figli di stranieri.
L'inserimento non è stato sempre facile. Ghannam dice che suo figlio è stato spesso preso in giro per il suo nome, Osama, soprattutto dopo gli attentati dell'11 settembre. D'altro canto, gli insegnanti sono stati comprensivi quando il ragazzino è stato assente da scuola in occasione delle festività islamiche e uno ha addirittura chiamato a casa per chiedere come fare a individuare la direzione della Mecca, in modo tale che Osama potesse pregare durante una gita scolastica.
Quando i Qasim si trasferirono nel loro attuale appartamento, i vicini italiani si mostrarono freddi e ostili. Tuttavia, il loro atteggiamento è migliorato nel tempo.
Qasim ha raccontato di non aver partecipato alle proteste riguardanti Casa San Pietro perché crede che i musulmani dovrebbero integrarsi maggiormente con gli abitanti del luogo, nonostante questo sia spesso difficile.
Pattuzzi ha spiegato che molte famiglie italiane si lamentano della cospicua presenza di immigrati e associano spesso i musulmani con la microcriminalità. Una delle ragioni per cui Casa San Pietro si è trasformata in un ghetto è che molti padroni di casa italiani non vogliono affittare appartamenti ai musulmani.
«Soltanto il lavoro, l'istruzione e l'educazione civica possono portare a una buona integrazione», ha aggiunto Pattuzzi.
Eppure, molti esperti affermano che Sassuolo non è un potenziale focolaio di violenza, come lo sono i sobborghi parigini, perché il lavoro è relativamente abbondante e c'è bisogno di lavoratori stranieri in queste cittadine industriali.
«Non voglio essere troppo ottimista, ma un'importante differenza sta nel fatto che a Parigi c'è molta disoccupazione», ha detto Antonio Oriente, preside di una scuola superiore di Sassuolo. «Questo problema qui è inesistente».
Qasim ha dichiarato di esser sempre stato trattato con rispetto a lavoro, e gli è stato persino consentito di pregare cinque volte al giorno. Sul posto di lavoro dice di sentirsi «un italiano». Tuttavia, Brini e le fabbriche di Sassuolo hanno intenzione di mettere in cassa integrazione 500 operai, fatto che potrebbe infiammare gli animi. La società italiana non è stata particolarmente cordiale, avendo soltanto offerto belle parole sulla fratellanza e poco altro.
«Non immaginavamo che gli immigrati sarebbero rimasti e avrebbero vissuto qui in un futuro», ha detto Renzo Guolo, un sociologo e un esperto di Islam all'Università di Padova. «Non sappiamo come fare a costruire una società in cui convivono diversi gruppi etnici».
Secondo Guolo, un fondamentale passo avanti sarebbe quello di concedere la cittadinanza con più facilità. «Come possiamo aspettarci che gli immigrati rispettino la legge se non diamo loro qualcosa per farli sentire parte della nazione?».
L'Italia è uno dei pochi Paesi in Europa in cui la nascita non conferisce automaticamente la cittadinanza. Sebbene gli immigrati possano richiederla dopo dieci anni di residenza legalmente riconosciuta, lo Stato non ha l'obbligo di dare una risposta immediata e il processo si prolunga in maniera notevole.
Ma se Qasim non è italiano, è difficile capire cos'altro possa essere, visto che non ha altro luogo che possa definire casa. La famiglia ha una casa a Ramallah e torna laggiù durante le vacanze estive, ma Osama, che quando parla arabo con i genitori lo infarcisce di parole italiane, non si sente a proprio agio con i coetanei, che per la maggior parte lavorano. Qasim, che ha vissuto dall'Italia le due intifade, non si sente al sicuro in Palestina.
«Non perderò mai le mie radici, ma dobbiamo vivere come gli italiani, perché ora questo è il nostro Paese», ha detto Qasim che, nonostante sia praticante, ha abbandonato alcuni precetti dell'Islam che considera culturali, ma non essenziali alla religione.
Per esempio, gli uomini e le donne lavorano assieme nell'associazione islamica che Qasim gestisce, anche se in Medioriente dovrebbero stare separati. «Ci sono aspetti dell'Islam che vanno bene in Palestina ma non qui», ha detto.
Molti mussulmani in Italia, tra cui i Qasim, hanno seguito da vicino i disordini in Francia. Ezzedin Fatnassi, 41 anni, un imam tunisino della moschea di Bassano del Grappa, è contrario alla violenza, ma afferma che «una volta che comincia, bisognerebbe cercare di capirne la motivazione». Ha poi detto di essersi molto stupito quando casa sua è stata perquisita dopo gli attentati di Londra.
Come Qasim, crede che gli arresti e il coprifuoco siano soltanto serviti ad aggravare la situazione in Francia. «È sbagliato ricorrere alla polizia», ha dichiarato Qasim. «Quando parli con gli altri li fai sentire parte della società. Se li fai sentire emarginati, prima o poi si ribelleranno».
Questa è una lezione che molti Paesi europei si stanno sforzando di imparare. I due luoghi di preghiera di Sassuolo, che ospitano ogni giorno migliaia di devoti, sono strutture improvvisate in vecchie aree industriali perennemente in lotta per la loro sopravvivenza.
Dopo due anni di ritardi, Qasim è riuscito finalmente ad aprire il suo centro islamico (che ospita, oltre alla scuola islamica, un luogo di preghiera) nonostante chieda di parcheggiare lontano, per non provocare le autorità.
Quando parla con suo figlio Osama, malgrado i vent'anni trascorsi in Italia, Qasim continua a ripetere il suo motto: ignora le offese, lavora più sodo dei tuoi compagni. «In fondo, gli dico, i palestinesi sono abituati a essere controllati: pensa solo di essere a Ramallah».
(Traduzione di Milena Bertuzzo e Cecilia L. Comastri)
International Herald Tribune
e per l'Italia Il Secolo XIX
Elisabeth Rosenthal
19/11/2005