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Mi è stato riferito, o re fortunato, che in una città della
Cina, di cui non ricordo il nome, viveva un povero sarto, che dal suo
mestiere ricavava soltanto quanto bastava a campare la giornata mantenendo
una moglie e un figlio. Orbene questo figlio, che aveva nome Aladino,
era cresciuto senza educazione e fin dalla più tenera età
aveva dimostrato tendenze biasimevoli.
Quando il ragazzo ebbe dieci anni, il padre pensò di fargli dare
un'istruzione compiuta, decise di prenderlo con sé a bottega e
d'insegnare al figlio il mestiere del sarto. Ma Aladino, che era abituato
a una vita da scavezzacollo, era incapace di restarsene una giornata sana
seduto nella bottega, ché anzi, non appena il padre usciva per
qualche commissione o per andare a portare gli abiti a un cliente, subito
lui scappava e andava a raggiungere i suoi compagni, con i quali ne combinava
di cotte e di crude. Né con la dolcezza né con i castighi
fu possibile indurre il ragazzo ad imparare il mestiere. Allora quel povero
padre, vedendo la pessima piega presa dal figlio, si accorò talmente
che in breve tempo cadde ammalato e morì. La madre di Aladino,
vedendo il marito morto e il figlio più scioperato che mai, decise
di vendere la bottega con tutto quello che conteneva; e quando anche il
denaro ricavato dalla vendita fu finito, si acconciò a filare la
lana giorno e notte per sostenere se stessa e quel bell'arnese del figlio.
Quanto ad Aladino, allorché si vide libero dalla soggezione del
padre, non ebbe più ritegni e prese l'abitudine di passare giornate
intere fuori di casa rientrando solo all'ora dei pasti. E la povera madre,
nonostante tutto, continuava a mantenerlo con il duro lavoro delle sue
mani e si consumava gli occhi piangendo lacrime amare. Così Aladino
giunse all'età di quindici anni, e si era fatto un bel giovane,
dagli occhi grandi e neri, la pelle bianca, l'aspetto seducente.
Ora avvenne che un giorno, mentre se ne stava a giocare con certi vagabondi
suoi simili all'ingresso del suk, passò di là un derviscio
magrebino che si fermò e cominciò a osservare i ragazzi
ad uno ad uno. Poi fissò il suo sguardo su Aladino, esaminandolo
con grande attenzione. Questo derviscio, che veniva dal lontano Marocco,
era un mago famoso, versato nell'arte dell'astrologia, capace, con le
sue arti, di smuovere le montagne. , dopo aver fissato a lungo Aladino,
il derviscio si disse: " Eccolo finalmente, il ragazzo che mi occorre,
quello che cerco da tanto tempo e per il quale sono partito dal Marocco,
il mio paese! " Così, sempre continuando a fissare Aladino,
si avvicinò ad uno dei ragazzi, lo prese da parte senza parere
e si informò minuziosamente sui genitori di Aladino, sul suo nome
e sulla sua condizione.
Poi, dopo aver avuto tutte queste informazioni, si avvicinò sorridendo
ad Aladino, gli fece cenno di seguirlo in un angolo e gli disse: "
Ragazzo mio, ma tu non sei per caso Aladino, figlio del sarto tal dei
tali? " E Aladino rispose: " Sì, io sono proprio Aladino,
ma mio padre è un pezzo che è morto! " A queste parole
il derviscio prese fra le braccia Aladino, lo baciò sulle guance
e scoppiò in un pianto dirotto. Aladino, sorpreso da quella scena,
gli domandò: " Qual è la ragione di queste lacrime,
signore? E come mai tu conoscevi il mio defunto padre? " E il magrebino,
con voce accorata e rotta dall'emozione, gli rispose: " Ah, ragazzo
mio, e come potrei non versare lacrime di dolore, dal momento che io sono
tuo zio e che tu in questo momento mi hai comunicato la morte del mio
povero fratello? Oh, figlio di mio fratello, sappi che io sono arrivato
in questo paese, dopo aver lasciato la mia patria e avere affrontato,
i pericoli e i disagi di un lungo viaggio, con la sola speranza di rivedere
tuo padre e di provare con lui la gioia del ricongiungimento! Ed ecco,
ahimè, che tu mi annunci la sua morte! " Si fermò un
attimo come se la commozione lo soffocasse, poi aggiunse: " Del resto,
devo dirti, nipote mio, che appena ti ho visto ti ho riconosciuto, pure
in mezzo a tanti ragazzi; e sebbene, quando io lo lasciai, tuo padre non
fosse ancora sposato e tu non fossi ancora nato, pure ho subito notato
in te una straordinaria rassomiglianza con il mio povero fratello! Ah
mio povero fratello! E io che speravo di riabbracciarti dopo tanto tempo!
Ahimè, nessuno di noi può sfuggire al destino che è
stato scritto per lui! Ma sia lode ad Allàh, che mi ha concesso
d'incontrare te, ragazzo mio! Perché d'ora in poi tu rimpiazzerai
nel mio cuore tuo padre e come dice il proverbio: <Colui che lascia
un figlio non è morto! > " Quindi tirò fuori dieci
monete d'oro e le diede ad Aladino chiedendogli: " Aladino, figlio
mio, dove abita tua madre, la moglie di mio fratello? " E Aladino,
conquistato dalla generosità e dall'affabilità del magrebino,
lo prese per mano e gli mostrò la via in cui era la loro casa.
Allora il magrebino gli disse: " Quei dieci dinàr che ti ho
dato, ragazzo mio, tu li darai alla sposa di mio fratello insieme con
i miei saluti e le dirai che tuo zio è arrivato in questa città
dopo un lungo viaggio e domani, se Allàh lo vuole, verrà
a salutare la sposa di suo fratello. " Quando il derviscio se ne
fu andato, Aladino si precipitò di corsa a casa e appena entrato
gridò alla madre: " Madre mia, ti annuncio che è arrivato
lo zio! Dopo lunga assenza, è tornato in questa città e
ti manda i suoi saluti! " La madre, meravigliata di vedersi capitare
in casa il figlio in un'ora così insolita, udendo quelle parole
gli disse: " Figlio mio, si direbbe che tu vuoi burlarti di tua madre!
Di quale zio stai parlando? E da quando in qua tu hai uno zio ancora vivente?
" " Perché, madre, dici che non ho uno zio vivente, quando
l'uomo di cui parlo è il fratello dei mio defunto padre? E la prova
è che egli mi ha stretto al seno, mi ha abbracciato piangendo e
mi ha incaricato di venirti a portare la notizia! " " Figlio
mio, " insisté la madre, " so bene che tu avevi uno zio,
ma è morto ormai da molti anni e per quanto ne so tu non hai avuto
un secondo zio! "
L'indomani Aladino uscì di casa di buon'ora e recatosi all'ingresso
del suk trovò il magrebino che lo aspettava e che, quando lo vide,
lo prese per mano, lo abbracciò affettuosamente e gli diede due
dinàr dicendogli: " Va', ragazzo mio, va' da tua madre, dalle
questi due dinàr e dille: <Mio zio verrà questa sera
a cena da noi. Ti manda perciò questo denaro perché tu possa
preparare un pranzo sostanzioso. > E adesso, Aladino, insegnami ancora
una volta la strada di casa tua. "
Aladino gli fece vedere ancora una volta dove fosse la strada di casa
e il magrebino lo lasciò andandosene per i fatti suoi.
Aladino si precipitò subito a casa e diede alla madre i due dinàr
dicendole: " Mio zio verrà questa sera a cena da noi. "
Allora la povera donna, vedendo quel denaro, pensò: " Può
darsi che ci fosse qualche fratello del mio defunto marito che io non
conoscevo! " Così si alzò, andò al mercato a
fare la spesa e per tutta la giornata lavorò a preparare le pietanze.
Quando venne la sera disse ad Aladino: " Figlio mio, la cena è
pronta; sarà meglio che tu vada incontro a tuo zio, il quale forse
non conosce la strada di casa nostra. " " Ascolto e obbedisco,
" rispose Aladino, e si preparava ad uscire quando fu bussato alla
porta. Aladino corse ad aprire e sulla porta c'era il magrebino, accompagnato
da un facchino che portava in capo una cesta carica di frutta, di dolci
e di bevande. Il facchino depositò la cesta, fu pagato e se ne
andò per i fatti suoi. Poi Aladino introdusse l'ospite nella stanza
in cui era la madre e il magrebino si inchinò e con voce commossa
disse: " La pace sia su di te, o sposa di mio fratello! " La
madre di Aladino gli rese il saluto e il magrebino cominciò a piangere
in silenzio; poi chiese: " In quale posto aveva l'abitudine di sedere
il defunto? " E la madre di Aladino gli mostrò il posto del
marito. Allora il magrebino si gettò a terra e cominciò
a piangere e a sospirare dicendo: " Ah, quale sventura è la
mia! Che disgrazia averti perduto, fratello mio, pupilla dei miei occhi!
" E continuò a piangere e a lamentarsi con tanta passione
che la madre di Aladino non dubitò più che quello fosse
veramente suo cognato e, commossa, si accostò a lui, lo aiutò
a rialzarsi e gli disse: " Fratello del mio sposo, ti ucciderai senza
costrutto se continuerai a piangere in questo modo! Purtroppo, quello
che è scritto deve avvenire! " e continuò a consolarlo
fino a che il magrebino si calmò e, messosi a sedere, cominciò
a raccontare: " 0 sposa di mio fratello, non meravigliarti se non
mi hai mai visto né conosciuto quando era ancora vivo il defunto.
Il fatto è che sono ben trent'anni ch'io manco dalla mia patria.
Da allora non ho fatto che viaggiare per le contrade dell'India e nei
paesi degli Arabi, e sono stato anche in Egitto, dove ho vissuto nella
magnifica città del Cairo, miracolo del mondo! E dopo aver soggiornato
colà per un certo tempo, mi sono recato nelle contrade del lontano
occidente dove sono rimasto per venti anni. Ora un giorno, mentre me ne
stavo seduto a casa mia, mi venne fatto di pensare al mio paese e a mio
fratello: < 0 uomo, > mi dissi, <quanti anni sono passati dal
giorno in cui hai lasciato la tua città e il tuo unico fratello!
Alzati, dunque, e vallo a riabbracciare prima di morire! Infatti, chi
conosce i disegni del destino e quello che ci riserba la vita? E non sarebbe
una grande disgrazia morire prima di aver rivisto tuo fratello, soprattutto
ora che Allàh - sia benedetto! - ti ha dato la ricchezza, mentre
forse tuo fratello vive in ristrettezze? Non dimenticare che partendo
tu farai due buone azioni: rivedere tuo fratello e soccorrerlo! > Così,
mia cara cognata, mi alzai sull'istante e mi preparai alla partenza e
dopo aver recitato la preghiera del venerdì e la fàtiha
del Corano mi misi in viaggio. Dopo molte peripezie e travagli, con l'aiuto
di Allàh - che sia osannato e onorato! - arrivai finalmente in
questa città e cominciai subito a girare per le strade e i quartieri
cercando la casa di mio fratello. Allàh volle che incontrassi questo
ragazzo e subito, appena lo vidi, sentii qualcosa nel cuore che mi diceva
che quello era il figlio di mio fratello. Così dimenticai ogni
pena ed ogni affanno e quasi mi sentii venir meno dalla gioia. Ma purtroppo
questa gioia fu di breve durata, perché dalla bocca di tuo figlio
appresi che il mio caro fratello era stato accolto nella misericordia
di Allàh! Fui quasi per morire dal dolore! Ma poi mi consolai vedendo
la rassomiglianza di questo ragazzo con mio fratello e pensai al proverbio
che dice: < L'uomo che lascia un figlio non muore! > "
Detto ciò, il magrebino tacque. Ma, accorgendosi che la madre di
Aladino, al ricordo del defunto marito>, si era messa a piangere a
calde lacrime, per distrarla chiese al ragazzo: " Figlio mio, che
mestiere hai appreso? Con che genere di lavoro sovvieni ai bisogni di
questa povera donna? " Sentendo ciò Aladino per la prima volta
in vita sua provò vergogna e abbassò lo sguardo a terra.
E poiché non parlava, la madre rispose in vece sua: " Un mestiere
lui, cognato mie? E come sarebbe possibile? Per Allàh, questo ragazzo
non sa fare niente di niente e in vita mia non ho visto mai un fannullone
come lui! Non fa altro che andare a zonzo tutto il giorno con dei vagabondi
e degli scioperati suoi pari! Per colpa sua è morto quel pover'uomo
di suo padre! E anche io, del resto, non sono in buona salute! è
già molto se riesco ancora con questi occhi, consumati dalle lacrime
e dalle veglie, a filare senza posa giorno e notte un po' di lana per
guadagnare qualcosa. Così vanno le cose caro cognato! Costui esce
di casa alla mattina e torna solo alle ore dei pasti! Quante volte ho
pensato di sprangare la porta e di lasciarlo fuori per costringerlo a
procacciarsi un lavoro qualsiasi! Ma poi non ho mai avuto il coraggio
di farlo, perché il cuore di una madre è pieno di pietà
e misericordia! Ma gli anni precipitano su di me, cognato, e le mie spalle
non reggono più la fatica come una volta, e quando non ce la farò
più a lavorare, che sarà di me con questo figlio sventurato?
"
Allora il derviscio, rivolto ad Aladino, disse: " Nipote mio, non
lo avrei mai creduto. Perché ti sei messo su questa strada? Vergognati,
Aladino. Ti sembra questo il modo di comportarsi? Non ti vergogni a lasciare
che sia questa povera donna di tua madre a mantenerti, quando hai ormai
l'età e le forze per lavorare e guadagnarti da vivere? Pensaci
bene! Tu hai la fortuna di vivere in una città dove tutti i mestieri
fioriscono; perciò, scegli quello che più ti aggrada e io
ti aiuterò ad avviarti. Se lavorare con l'ago, come tuo padre,
non ti piace, fai qualche altra cosa e conta pure su tutto il mio aiuto!
" Ma poiché il ragazzo continuava a tacere, il magrebino capì
che l'unico mestiere che gli piaceva di fare era quello del perdigiorno.
Così gli disse: " Figlio mio, se fare l'artigiano non ti piace,
avviati allora alla mercatura, e io ti prometto che ti aprirò una
bottega ben fornita nel suk dei drappieri. Potrai così comprare
e vendere e farti conoscere dagli altri mercanti e onorare la memoria
del tuo defunto padre! " La proposta piacque molto ad Aladino, il
quale si vedeva già nei panni del mercante ricco e ben vestito;
perciò chinò il capo sorridendo in segno di assenso. Allora
il magrebino gli disse: " Dal momento che l'idea ti va, domani stesso,
se Allàh lo vuole, andremo al suk, ti comprerà un bell'abito
da mercante e poi ce ne andremo in giro a cercare una bottega che faccia
al caso tuo. " Udendo queste parole, la madre di Aladino si convinse
definitivamente che quell'uomo doveva essere suo cognato perché
un estraneo non avrebbe mai speso i suoi soldi per uno scioperato come
Aladino. Così la povera donna si senti cadere gli anni di dosso
dalla contentezza e a cuor leggero apparecchiò e servì la
cena. Mangiarono e bevvero lietamente e il magrebino continuò per
tutto il pranzo a parlare con il ragazzo di mercatura e di stoffe e di
altre cose del genere, e Aladino non stava più nella pelle dalla
contentezza.
Il mattino dopo, il magrebino si presentò puntuale alla porta della
casa del sarto e Aladino andò ad aprirgli, gli diede il benvenuto
e gli baciò le mani, poi se uscì con lui. Girarono insieme
per i suk della città fino a che, si fermarono in una bottega ben
fornita di stoffe e di abiti e il magrebino invitò il ragazzo a
scegliersi un abito fra i più ricchi che ci fossero. Aladino si
scelse un abito bellissimo e il magrebino lo pagò in contanti senza
nemmeno discutere il prezzo. Poi andarono nel bagno pubblico, si lavarono,
bevvero caffè e Aladino indossò il suo nuovo abito. Quindi
andarono in giro per i suk, dove il magrebino cominciò a spiegare
al ragazzo i segreti dell'arte della mercatura e i nomi delle varie specie
di mercanzie. Continuarono a girare e a divertirsi per tutta la giornata
fino a che giunsero nel caravanserraglio dove il magrebino era alloggiato;
questi invitò alcuni mercanti di sua conoscenza e così offrì
loro una cena sontuosa, dicendo che dava quella cena in onore di Aladino
suo nipote, che presto si sarebbe avviato alla mercatura. Dopo che ebbero
mangiato e bevuto e chiacchierato con i commensali, il magrebino riportò
il ragazzo a casa. Quando la madre vide il figlio così trasformato
sotto quell'abito sontuoso, non stette in sé dalla contentezza
e cominciò a ringraziare e a benedire il cognato dicendogli: "
0 fratello dei mio sposo, anche se ti ringraziassi per tutta la vita,
non ti ringrazierei mai abbastanza per quello che ci fai! " E il
magrebino rispose: " 0 moglie di mio fratello, in verità in
quello che faccio non v'è alcun merito, perché Aladino è
figlio mio ed è mio dovere servirgli da padre in luogo del defunto!
" Allora la povera donna invocò sul magrebino tutte le benedizioni
di Allàh, supplicando l'Onnipotente di prolungare la vita al cognato
acciocché questi potesse continuare a proteggere il suo figliolo.
Prima di prendere congedo, il magrebino disse: " Scusami, cognata,
se domani non potrò, come ho promesso, aprire a tuo figlio il negozio,
perché è venerdì e i suk sono chiusi e gli affari
sono sospesi. Se Allàh lo vuole, combineremo la cosa sabato. Tuttavia,
domani verrò lo stesso a prenderlo per proseguire la sua istruzione
e a questo scopo lo condurrò nei giardini fuori di città
dove vanno a passeggio mercanti e cambiavalute. Fino ad' ora Aladino ha
frequentato solo dei monelli scioperati, ora bisogna che impari a stare
con gli uomini e che conosca coloro con i quali dovrà combinare
affari. "
La mattina dopo Aladino, che durante la notte non aveva potuto chiudere
occhio per l'eccitazione, di buon'ora era già sulla porta a spiare
l'arrivo del magrebino. Appena lo vide in fondo alla via, si precipitò
incontro a lui come un giovane puledro e gli baciò le mani. Il
magrebino lo abbracciò e lo salutò affettuosamente, poi,
presolo per la mano, si avviò con lui e insieme uscirono dalle
mura della città costeggiando ville e giardini meravigliosi quali
Aladino non aveva mai visto. Continuarono così a inoltrarsi per
un bel tratto nella campagna, avvicinandosi sempre più alla meta
che il magrebino si era prefissa. Ma a un certo punto Aladino, cominciò
a sentirsi stanco e disse: " Zio mio, dovremo camminare ancora per
un pezzo? Già da molto ci siamo lasciati alle spalle i giardini
e io non vedo davanti a noi che le montagne. Sono stanco e, vorrei mangiare
qualcosa. " Allora il magrebino si tolse dalla cintola una sacca
piena di frutta e di altra roba da mangiare e disse ad Aladino: "
Ecco qua, figlio mio, mangia e bevi finché ne hai voglia. Dopo
andremo avanti ancora un poco, perché voglio mostrarti un posto
così meraviglioso che tu non ne hai mai visto l'eguale in vita
tua! " E continuando a incoraggiarlo e a dargli consigli per il futuro
e a descrivergli quale sarebbe stata la sua vita di mercante seppe distrarlo
così bene che, senza che il ragazzo se ne accorgesse, arrivarono
ai piedi della montagna, in fondo a una valle deserta dove l'unica presenza
era quella di Allàh. Quello era per l'appunto il termine del viaggio
del magrebino! Proprio per giungere in quella valle, egli aveva viaggiato
dal lontano Magreb arrivando fino all'estremità della Cina!
Il magrebino si voltò verso il ragazzo, che era sfinito dalla fatica,
e gli disse sorridendo: " Aladino, figlio mio, siamo arrivati! "
Si sedette su una pietra e fece sedere accanto a sé il ragazzo,
circondandogli affettuosamente le spalle con un braccio e dicendogli:
" Riposati un poco, Aladino. Fra poco ti mostrerò quello che
occhi umani non hanno mai visto.
Sì, Aladino, fra un istante tu vedrai in questo luogo preciso un
giardino più bello di tutti i giardini della terra. E dopo avere
ammirato le meraviglie di questo giardino, allora si che avrai motivo
di ringraziarmi, e dimenticherai la fatica e benedirai il giorno in cui
mi hai incontrato per la prima volta. " Quando si furono riposati
un poco, il magrebino disse al ragazzo: " Adesso, Aladino, alzati,
raccogli tutti gli sterpi secchi e i pezzi di legno che troverai e portameli.
" Aladino, incuriosito e stupito, fece quanto gli era stato richiesto;
poi il magrebino gli ordinò di mettersi dietro di lui, a qualche
passo di distanza. Poi, presa una pietra focaia, diede fuoco agli sterpi
secchi, quindi, tratta di tasca una scatola, gettò alcuni grani
d'incenso sul fuoco. Subito si levò un gran fumo e il magrebino
pronunciò parole e formule magiche in una lingua sconosciuta. In
quel preciso momento la terra cominciò a tremare, le rocce si mossero
e il suolo davanti a loro si aprì, rivelando una fossa in fondo
alla quale c'era una piastra di marmo con al centro un anello di bronzo.
A quella vista Aladino, atterrito, gettò un grido e afferrata la
veste con le mani cominciò a scappare. Ma con un salto il magrebino
fu su di lui, lo acchiappò per un orecchio e gli rifilò
un tale sganassone che per poco non gli fece saltar via tutti i denti.
Quando Aladino si riebbe dallo stordimento disse: " Che cosa ti ho
fatto, zio, perché tu dovessi trattarmi in questo modo? "
" Sappi, Aladino, " rispose il magrebino, " che se ti ho
trattato così è stato per insegnarti ad essere un uomo!
E siccome io sono tuo zio, tu mi devi obbedienza come a un padre! "
Poi, addolcendo il tono della voce, continuò: " Ascolta bene,
Aladino, quello che sto per dirti e non perdere una sola parola, perché
se farai quello che ti dirò te ne troverai bene al punto da dimenticare
ogni pena e fatica! Hai visto, ragazzo mio, come la terra si sia aperta
in virtù della mia opera magica; però se io ho fatto questo,
e se ti ho battuto quando volevi fuggire, è stato solo per il tuo
bene, perché sotto quella lastra di marmo che tu vedi in fondo
a quella fossa c'è un tesoro sul quale è scritto il tuo
nome. Questo tesoro, che ti ho destinato, ti renderà più
ricco di tutti i re della terra; e per dimostrarti che è destinato
a te e a nessun altro, sappi che solo tu al mondo potrai toccare e sollevare
quella lastra di marmo; io stesso, nonostante la mia potenza, e anche
se fossi mille volte più forte e più potente di quanto non
sia, non potrei mai sollevare quella lastra di marmo. Spetta dunque a
te solo fare quello che io non posso fare, e a questo scopo basta che
tu metta in pratica alla lettera quello che ti dirò! Così
tu potrai mettere le mani sul tesoro e noi ce lo divideremo equamente
in due parti uguali: una per te e una per me! " A queste parole Aladino
dimenticò la stanchezza, lo schiaffo e ogni altra cosa e, al pensiero
di poter diventare più ricco di tutti i re della terra, esclamò
pieno di entusiasmo: " Zio mio, comandami tutto quello che vuoi e
io ti obbedirò! " Allora il magrebino lo prese fra le braccia,
lo baciò più volte sulle guance e gli disse: " Aladino,
tu sei per me come un figliolo, tu sei la mia unica discendenza e il mio
erede, ed è per te che io faccio tutte queste cose. Fa' dunque
quello che ti dico. Scendi in fondo alla fossa, afferra quell'anello e
solleva la lastra di marmo. " Aladino scese nella fossa come gli
era stato ordinato poi disse allo zio: " Ma come farò, zio,
a sollevare una lastra così pesante? lo non sono che un ragazzo
e sono sicuro che da solo non ce la farò. " " Non scoraggiarti,
" gli gridò il magrebino, " se io ti aiutassi sarebbe
tutto inutile. Afferra dunque quell'anello e tiralo pronunciando il tuo
nome e il nome di tuo padre e di tua madre e vedrai che riuscirai a sollevare
la lastra di marmo senza alcuna difficoltà. " Aladino fece
quello che il magrebino gli aveva detto e, pronunciando il proprio nome,
quello del padre e quello della madre, afferrò l'anello di bronzo
e tirò a sé con tutta la forza, ed ecco che la lastra di
marmo si sollevò e si spostò con grande facilità.
Aladino la tirò a sé e la buttò da una parte, ed
ecco che gli apparve l'imboccatura di un sotterraneo con una dozzina di
scalini che giungevano fino a una porta. " E ora, Aladino, fa' bene
attenzione, " gli disse il magrebino. " Scendi quei gradini
e quando sarai in fondo vedrai che quella porta si aprirà da sola
davanti a te: ti troverai in un grande sotterraneo, diviso in quattro
vani comunicanti, e in ciascun vano troverai quattro vasi pieni d'oro
e d'argento. Bada bene: non lasciarti trascinare dal desiderio e non toccare
nulla di quei vasi, non sfiorarli nemmeno con il lembo della veste, perché
se tu facessi ciò saresti immediatamente tramutato in un blocco
di pietra nera. Nel quarto locale troverai una porta: aprila pronunziando
il tuo nome, quello di tuo padre e quello di tua madre, e passa oltre.
Ti troverai in un giardino meraviglioso, pieno di alberi carichi di frutta
saporosa, ma bada di non toccare nulla. Cammina invece sempre diritto
davanti a te per cinquanta passi, e ti troverai davanti a un padiglione
al quale si accede per mezzo di una scala di trenta gradini. Al centro
del padiglione vedrai una lampada di bronzo: prendila, vuotala dell'olio
e nasconditela in seno; non temere per gli abiti perché quello
è un olio che non macchia. Ciò fatto torna indietro e portami
quella lampada che sarà la cagione della nostra immensa ricchezza.
" Ciò detto il magrebino si cavò dal dito un anello
e lo diede ad Aladino dicendogli: " Purché tu faccia come
io t'ho detto questo anello, figlio mio, ti salverà da ogni pericolo.
E ora fatti coraggio, va', scendi e non aver paura di nulla perché
sei un uomo e non un ragazzo! "
Aladino fece tutto quanto il mago gli aveva ordinato di fare e arrivò
sano e salvo fino al padiglione in mezzo al giardino, dove vide la lampada
dì bronzo: la prese, la spense, gettò via l'olio e se la
ripose in seno. Dopo di che scese dal padiglione e riattraversò
il giardino fermandosi questa volta ad osservare le piante, le quali erano
tutte cariche non già dì frutta ma di grossissime e bellissime
pietre preziose: smeraldi, rubini, zaffiri, diamanti e quant'altre mai
gemme si trovano sulla faccia della terra. Aladino, che non conosceva
il valore delle pietre preziose, pensò che quei frutti fossero
di vetro e cristallo e principiò a raccoglierli con l'intenzione
di giocarci quando fosse tornato a casa. Attirato dai bellissimi colori,
ne raccolse tanti che se ne riempì ogni piega del vestito; poi
pensò bene di tornare per paura che il magrebino si arrabbiasse.
Traversò di nuovo i quattro locali del sotterraneo e giunse alla
scala, che salì un gradino dopo l'altro; ma arrivato all'ultimo
gradino, che era altissimo, essendo egli impacciato dalla lampada e da
tutte le pietre che aveva raccolto, disse al magrebino: " Zio, tendimi
una mano e aiutami a venir fuori perché da solo non ce la faccio.
" " Figliolo mio, " gli rispose il mago, " passami
la lampada: dev'essere quella che ti impaccia. " E Aladino gli rispose:
" Zio mio, non ce la faccio a tirar fuori la lampada, perché
ho l'abito pieno di vetri colorati che ho raccolto in quel giardino. Aiutami
a salir su e poi te la darò. " Ma il magrebino, il cui unico
scopo era quello di impossessarsi della lampada, sentendo queste parole
e temendo che Aladino volesse fare il furbo con lui, entrò in una
grandissima collera e cominciò a gridare: " Figlio di un cane!
Vuoi darmi subito questa lampada o preferisci morire dove ti trovi? "
E vedendo che Aladino, in perfetta buona fede, non se ne dava per inteso,
gettò nuovo incenso sul fuoco, pronunciò altre formule magiche,
dopo di che la lastra ricadde al suo posto e la terra si ricoprì,
seppellendo in tal modo Aladino. Perché quel magrebino era in realtà
un maledetto mago venuto dal lontano Marocco, terra dei peggiori maghi
che esistano, ed era esperto in ogni sorta di malefici e di incantesimi.
Orbene, esercitando la sua arte e leggendo nelle tavole geomantiche, egli
aveva un giorno scoperto che in una città della Cina era nascosto
un tesoro meraviglioso, quale nessun re della terra aveva mai posseduto
e che la cosa più stupefacente di questo tesoro era una lampada
magica che chi la possedeva diventava così ricco e così
potente che il più ricco e il più potente sovrano della
terra sarebbe parso un mendicante al suo confronto. E poiché le
sue tavole geomantiche gli avevano anche detto che a questo tesoro sarebbe
stato possibile giungere solo per mezzo di un giovane chiamato Aladino,
così il mago si era posto in viaggio per quella città della
Cina allo scopo di trovare Aladino e, con una astuta finzione, servirsi
di lui per entrare in possesso del tesoro e della lampada. Egli aveva
divisato, una volta, che avesse avuto la lampada fra le mani, di far sparire
Aladino, l'unico che conoscesse il suo segreto. Ma quando vide che Aladino
non voleva dargli la lampada, prima di uscire dal sotterraneo, capì
che tutti i suoi sforzi e le sue fatiche erano stati vani e allora preso
da violenta collera richiuse la lastra e la terra sopra Aladino per vendicarsi
e per impedire che potesse uscire all'aperto recando con sé quella
lampada. Ciò fatto prese la via e se ne tornò al suo paese
in Africa, scornato e deluso.
Quando Aladino vide la terra che si richiudeva su di sé, fu preso
da indicibile terrore e cercò di sollevare a forza di braccia la
lastra di marmo; ma il gradino su cui si trovava era troppo basso ed egli
non riusciva nemmeno a sfiorarla con la punta delle dita. Allora cominciò
a gridare invocando lo zio magrebino e promettendogli che se lo aiutava
ad uscire di là gli avrebbe dato subito la lampada. Ma nessuno
lo udì, perché il magrebino era ormai lontano, e il ragazzo
cominciò a temere di essere stato vittima di un inganno e sospettò
che il magrebino non fosse affatto suo zio, bensì un mago malvagio.
Sconvolto dalla paura e piangendo a calde lacrime, Aladino cercò
una via di uscita, ma il mago, con la sua arte, aveva fatto si che tutte
le porte si chiudessero ermeticamente. Affranto e piangente, Aladino si
mise a sedere sugli scalini disperando di poter tornare mai più
a vedere la luce del sole. Ma quando Allàh ha deciso che una cosa
debba accadere, non v'è potenza di mago che possa impedirla.
Mentre se ne stava seduto sugli scalini a torcersi le mani dalla disperazione,
Aladino, involontariamente, strofinò l'anello che il mago, quando
lo aveva fatto scendere nel sotterraneo, gli aveva messo al dito dicendogli:
" Questo ti salverà da ogni malanno. " Stravolto dall'ira
e dal dispetto, il magrebino aveva poi dimenticato di aver dato quell'anello
ad Aladino, dimostrando così che anche i maghi più esperti
e più maligni finiscono sempre per cadere vittime delle loro stesse
malefatte.
Aladino strofinò dunque, senza accorgersene, l'anello ed ecco che
dalla terra usci davanti a lui un demone gigantesco, simile in tutto ad
uno schiavo negro, ma orribile a vedersi e con gli occhi di fuoco. Aladino
fece un salto indietro dalla paura vedendosi comparire davanti quella
specie di gigante, ma il demone s'inchinò e gli disse: " Ecco
il tuo schiavo. Chiedi quello che vuoi, giacché io sono il servitore
di chi porta al dito l'anello! " Sentendo ciò Aladino, che,
rincantucciato in un angolo, tremava di paura, riprese un ed egli ti confermerà
parola per parola questa storia. " Il sultano, che era un padre amorevole,
vedendo la figlia ridotta in uno stato da far pietà, la rincuorò
dicendole delle buone parole e le promise che la notte seguente avrebbe
provveduto in qualche modo affinché l'increscioso episodio non
si ripetesse. Mandò a chiamare il gran visir e gli chiese se sapesse
nulla di ciò che era capitato durante la prima e la seconda notte
di nozze a suo figlio. Il vísir rispose di non aver" visto
il figlio e di non sapere nulla di nulla. Allora il sultano gli raccontò
tutto quello che gli aveva detto la principessa Badr al-Budùr,
e poi gli ordinò di mandare a chiamare il figlio e di interrogarlo
per sapere se ciò era vero. Il visir, stupefatto, mandò
a chiamare il figlio e gli chiese se ciò che aveva detto la principessa
Badr al-Budùr fosse la verità o no. " Padre mio, "
rispose il figlio del visir, " tutto ciò che ha detto la principessa
Badr al-Budùr è la pura verità. E sappi che queste
ultime due notti sono state per me le più sciagurate di tutta la
mia vita in quanto non solo non le ho passate accanto alla mia sposa,
ma sono stato ficcato da un orribile gigante in una latrina puzzolente,
e sono rimasto per tutte e due le notti, con la testa ficcata nel buco
del cesso. " Allora il visir tornò immediatamente dal sultano
e gli riferì quello che il figliolo gli aveva detto. " Se
le cose stanno così, " disse il sultano, " è segno
che Allàh non vuole questo matrimonio. Ordino perciò che
le nozze siano ritenute nulle e i festeggiamenti siano sospesi. "
Il popolo apprese la notizia con indicibile stupore, non sapendo spiegarsi
la ragione di quella decisione sovrana, e ancor più fu stupito
quando vide il visir e il figliolo uscire dal palazzo reale con l'aria
mogia e afflitta di chi ha patito uno scacco. L'unico che si rallegrasse
e che conoscesse la cagione di tutto questo era Aladino. Infatti, anche
il sultano aveva dimenticato la promessa fatta alla madre di Aladino,
e così pure il visir se ne era completamente scordato.
Aladino aspettò pazientemente che fossero trascorsi i tre mesi,
fissati a suo tempo dal sultano, quindi mandò la madre al palazzo
reale dicendole di presentarsi al sultano e di chiedergli di mantenere
fede alla sua promessa. La madre di Aladino si recò subito a palazzo
e quando il sultano la vide ricordò la promessa che le aveva fatto
tre mesi prima e ordinò al visir di condurgli dinanzi quella donna.
La madre di Aladino, quando fu davanti al sultano, si chinò a baciare
la terra quindi, ottenuta licenza di parlare, disse: " 0 signore
del nostro tempo, sono venuta a rammentarti che oggi scadono i tre mesi
da te fissati per celebrare le nozze fra tua figlia, Badr al-Budùr,
e mio figlio Aladino. " A quella richiesta il sultano rimase interdetto
soprattutto perché, osservando bene la vecchia, la vide vestita
con abiti poveri e dimessi; allora si voltò verso il visir e gli
chiese: " Tu che faresti, al posto mio?" "Signore,"
fece il visir' " è vero che hai promesso a questa donna di
dare tua figlia in moglie a suo figlio, ma, a giudicare dagli abiti, costei
mi sembra di condizione estremamente povera, e come sarà possibile
che la figlia del più potente sovrano della terra sposi uno straccione
qualsiasi? " E dentro di sé il visir pensava: " Non sia
mai detto che la figlia del sultano sposi un pezzente qualsiasi e mio
figlio rimanga a bocca asciutta! " Poi aggiunse: " lo ti consiglierei,
signore, di mettere in atto un espediente per liberarci di questo importuno.
" " E quale sarebbe questo espediente? " chiese il sultano.
" E' semplice, " fece il visir. " Nonostante la ricchezza
del dono che ti ha fatto la prima volta, io non credo che questo Aladino
sia una persona di qualche importanza. Noi non sappiamo come si è
procurato quelle gemmee né sappiamo chi egli sia. Perciò
io ti consiglio di metterlo alla prova, dicendogli che gli darai tua figlia
se sarà disposto a donare alla principessa Badr al-Budùr,
come regalo di nozze, quaranta piatti colmi di gemme, in tutto eguali
a quello che ti mandò tre mesi fa, portati da quaranta schiave
e da quaranta servi. " A queste parole, il volto del sultano si rasserenò
ed egli disse: " Sul nome di Allàh, o visir, il tuo consiglio
è saggio; infatti ritengo che questa richiesta sia impossibile
da soddisfare, e così ci saremo liberati di costui. " Poi,
rivolto alla madre di Aladino, disse: " Brava donna, va' a dire a
tuo figlio ch'io tengo fede alla mia parola e acconsento alle nozze, ma
esigo che lo sposo regali a mia figlia quaranta piatti di pietre preziose,
recati da quaranta schiave e da quaranta servi. "
La madre di Aladino tornò a casa con il cuore afflitto pensando
fra sé e sé: " E dove mai andrà a prendere tutto
questo ben di Dio il mio povero figliolo? "
Comunque, riferì ad Aladino tutto quanto le aveva detto il sultano
e rimase stupita quando vide che il giovane, anziché rattristarsi,
si rallegrava come se avesse ricevuto una buona notizia. " Torna
subito dal sultano, madre mia, e portagli la risposta, " disse ridendo
Aladino. " E quale risposta vuoi che io rechi, figlio mio, a una
simile richiesta? Noi siamo povera gente e non abbiamo alcuna risposta
da dare. " " E' quello che vedremo, madre mia, " rispose
Aladino. " Tu intanto prepara la cena, ché io penserò
al resto. " E appena la madre fu uscita di casa Aladino strofinò
la lampada e subito apparve il genio al quale il giovane disse: "
Il sultano, per darmi in sposa sua figlia, esige quaranta piatti d'oro
colmi di pietre preziose, di quelle che si trovano nel giardino del sotterraneo,
portati da quaranta schiave e da quaranta servi. Voglio che tu mi procuri
all'istante tutto questo. " " Ascolto e obbedisco, mio padrone,
" rispose il demone, e subito scomparve ricomparendo di lì
a poco con quanto gli era stato chiesto. Quando la madre di Aladino tornò
a casa dalla spesa e vide ogni stanza piena di schiave e servi e dappertutto
piatti d'oro colmi di pietre preziose sfavillanti, non poté trattenere
un moto di contentezza e di stupore. Allora Aladino le disse: " Prima
che cada la sera, madre mia, recati dal sultano con queste quaranta schiave
e con questi quaranta servi e offrigli il dono che mi aveva chiesto e
digli che io posso fare questo ed altro; saprà così che
chi lo aveva consigliato altro scopo non aveva se non quello di trarlo
in inganno. " La madre fece quanto le aveva detto il figlio. Fece
uscire le quaranta schiave e i quaranta servi e, postasi in testa al lungo
corteo, traversò la città, fra lo stupore della gente, diretta
verso il palazzo reale. Quivi giunta, si fece annunziare al sultano e
quando fu alla sua presenza gli offrì il dono che suo figlio Aladino
mandava alla principessa Badr al-Budùr. Quando il sultano vide
le schiave, i servi, i piatti d'oro colmi di gemme, si volse al visir
e gli disse: " E ora, che dici? Colui che è stato capace di
mettere insieme tutto questo in così poco tempo non sarà
forse degno di sposare mia figlia? " Il visir non poté obiettare
nulla, ma dentro di sé si rodeva dalla rabbia vedendo che uno sconosciuto
era giunto là dove suo figlio aveva fallito.
Allora il sultano si voltò verso la madre di Aladino e le disse:
" Donna, vi subito da tuo figlio e digli che venga immediatamente,
perché questa sera stessa si celebreranno le nozze e avranno principio
i festeggiamenti. Digli che venga subito e sarà ricevuto con ogni
onore. "
Dopo aver baciato la terra davanti ai piedi del sultano, la madre di Aladino
corse via e, trottando di buona lena, giunse a casa in men che non si
dica. Quando Aladino la vide, arrivare con il volto tutto sorridente,
capì che ogni cosa era andata bene e si rallegrò mentre
la madre gli diceva: " Sia lode a Dio, figliolo, sei riuscito nel
tuo intento! Il sultano ha gradito il dono e ti concede la mano di sua
figlia. Ha proclamato pubblicamente le nozze e vuole che questa sera stessa
vengano celebrate. Ma egli vuole che tu ti rechi immediatamente da lui
perché desidera conoscerti e vuole accoglierti con ogni onore.
E con questo, figlio mio, la mia missione è compiuta. " "
Madre mia, " esclamò Aladino, " se sono giunto a realizzare
i miei voti, lo devo a questa lampada magica e alla tua instancabile premura.
" Ciò detto Aladino strofinò la lampada e al genio
che, gli apparve disse: " Voglio che tu mi porti in un bagno di cui
non si sia mai visto l'eguale nel mondo e che mi procuri vesti tanto preziose
che nessun re ne abbia mai avute di simili nel suo guardaroba. "
" Ascolto e obbedisco! " disse il demone. Poi, fattosi salire
Aladino sulle spalle, si librò in volo ' con lui e dopo un breve
viaggio lo depositò in un bagno meraviglioso, tutto di alabastro,
cornalina e marmi pregiati. Le vasche erano colme di acqua e l'aria era
profumata di incenso e ladano. Non appena Aladino fu entrato, gli si fece
incontro un demone sotto le sembianze di un bellissimo giovinetto, il
quale premurosamente gli tolse di dosso gli abiti e, sostenendolo con
un braccio, lo fece scendere nella vasca, dove lo insaponò, lo
sciacquò, lo massaggiò e lo profumò con essenze costosissime,
quindi per rifocillarlo gli offrì un gelato al profumo di ambra
e un caffè. Quando ebbe finito, Aladino uscì dal bagno e
nel vestibolo trovò ad aspettarlo il solito demone, che gli fece
indossare vesti preziose quali occhi d'uomo non avevano mai vedute.
Poi Aladino montò sulle spalle del demone, il quale lo ricondusse
a casa. Quivi giunto, Aladino disse al demone: " Poiché devo
recarmi subito al palazzo del sultano, voglio che tu mi procuri un cavallo
puro sangue, più bello del più bel destriero che si trovi
nelle scuderie reali. Voglio che la sella e le bardature del cavallo valgano
non meno di mille dinàr d'oro. Voglio inoltre che il mio corteo
nuziale sia composto da quarantotto schiave, tutte giovani, formose e
di eccezionale bellezza, vestite riccamente, e voglio che ognuna di queste
schiave rechi al collo una borsa contenente cinquemila dinàr d'oro.
Questo è il mio desiderio. Va' e provvedi affinché sia esaudito!
" A queste parole il demone sparì e ricomparve di lì
a poco con tutto quanto gli era stato richiesto. Aladino montò
allora a cavallo e si avviò verso il palazzo reale. E la gente
si affacciava alle finestre e si faceva sugli usci delle case per ammirare
quello straordinario corteo, di cui non si era mai visto l'eguale a memoria
d'uomo. E nessuno sapeva se lodare di più l'aspetto meraviglioso
di quelle schiave, il vigore e l'eleganza del cavallo, la ricchezza dell'abito
indossato da Aladino o la prestanza senza pari del giovane signore. Passando
così in mezzo a un coro di lodi e di ammirazioni, Aladino giunse
al palazzo reale, dove, frattanto, si erano radunati i visir e i dignitari
del regno per dare il benvenuto al futuro sposo della principessa. Quando
Aladino fu giunto alla porta del palazzo, un ufficiale gli si fece innanzi
e, dopo averlo salutato rispettosamente, gli disse: " Signore, il
nostro re desidera, per attestarti la sua stima e la considerazione in
cui ti tiene, che tu entri a cavallo nel palazzo e smonti solo dinanzi
alla porta della sala reale. " Cosi Aladino giunse fino alla porta
della sala del trono, e subito un nugolo di servi e valletti gli si fece
intorno per reggergli le briglie e la staffa, ed egli scese da cavallo
ed entrò nella sala. Ed ecco che il sultano si alzò dal
trono e gli andò incontro e non volle che il giovane baciasse la
terra davanti a lui, ma presolo fra le braccia lo baciò e poi lo
fece sedere alla sua destra. Quando Aladino ebbe rivolto al sovrano i
complimenti d'uso, questi gli disse: " 0 Aladino, figlio mio, rimpiango
di non averti conosciuto prima e di avere così rimandato di tre
mesi le tue nozze con mia figlia, la principessa Badr al-Budùr!
Quale re, o Aladino, potrebbe desiderare un genero migliore di te? "
Ciò detto, ordinò al cadì di stendere immediatamente
il contratto di nozze, e quando lo strumento fu redatto e firmato, disse
ad Aladino: " Figlio mio, penso che tu vorrai entrare questa notte
stessa nella camera della sposa per consumare le nozze. " Allora
Aladino si volse verso il sultano e gli disse: " 0 re del nostro
tempo, l'amore che io nutro per tua figlia mi spingerebbe ad entrare questa
notte stessa presso di lei. Ma io desidero che il matrimonio venga consumato
in un palazzo degno di tua figlia. Perciò consentimi di rinviare
la consumazione delle nozze per il breve tempo che mi sarà necessario
a far costruire questo palazzo. A te, io chiedo ' solo di donarmi un terreno
sul quale potere edificare. " Il sultano approvò l'idea di
Aladino e gli disse: " Se non è che questo, figlio mio, proprio
di fronte al mio palazzo c'è un terreno libero: è tuo fin
da questo momento e tu puoi farne quello che vuoi. " Allora Aladino
si congedò dal re, e tornato a casa strofinò la lampada
e subito gli apparve il demone, al quale egli disse: " Servo della
lampada, innanzi tutto voglio lodarti per lo zelo con cui mi hai servito.
Poi, voglio chiederti un'impresa che spero tu sia in grado di compiere.
Voglio che tu mi costruisca, al più presto possibile, un palazzo
tale che la più ricca reggia del mondo, al suo cospetto, sembri
la casa di un povero artigiano. In questo palazzo io intendo consumare
le mie nozze. " " Ascolto e obbedisco! " rispose il demone,
e sparì. Ma prima che facesse giorno comparve di nuovo e disse
ad Aladino: " Signore, il palazzo è in ordine. Se vuoi vederlo,
alzati e vieni con me. " Aladino si recò subito con lo schiavo
sul terreno che gli era stato donato dal sultano e non poté fare
a meno di meravigliarsi constatando che in una sola nottata vi era sorto
un palazzo stupendo, tutto marmi e alabastri, giade e mosaici, ori e argenti,
con meravigliosi giardini e fontane, e saloni colmi di tappeti e di stoffe
preziose. E dovunque passava c'erano servi e ancelle che si inchinavano
dinanzi a lui e altro non attendevano se non il momento di poter servire
Aladino e la sua sposa. Quando ebbe veduto tutta quella meraviglia, che
era ancor più di quanto egli avesse potuto immaginare, Aladino
si voltò al demone e disse: " E ora, voglio da te un'altra
cosa. Che tu faccia stendere fra il palazzo reale e la mia casa un tappeto
prezioso, intessuto d'oro e d'argento, acciocché quando la principessa
Budùr verrà qui i suoi piedi non siano costretti a calpestare
la nuda terra. "
Il demone sparì e tornò di lì a poco mostrando ad
Aladino il tappeto disteso fra la reggia e il nuovo palazzo. Poi il giovane
tornò nella sua vecchia casa, ad aspettare che sorgesse il sole.
Quando si fece giorno, il sultano si alzò e si affacciò
alla finestra della sua stanza, e quale non fu la sua meraviglia quando,
proprio di fronte al palazzo, là dove fino al giorno prima c'era
stato solo un terreno incolto, vide quel meraviglioso edificio! E mentre
stava ancora lì stupito a contemplare quel prodigio, quasi non
credendo ai propri occhi, ecco che arrivò il gran visir e il sultano
gli mostrò quello che Aladino era stato capace di fare in una sola
nottata e gli chiese: " Pensi ancora che Aladino non sia degno di
mia figlia? Hai mai veduto tanto splendore e tanta magnificenza? "
Ma il visir, nel quale l'invidia e la rabbia crescevano ogni giorno di
più, rispose: " Signore, non posso negare che questa sia una
vera meraviglia, ma appunto per questo sono convinto che si tratti non
dell'opera di un uomo, ma di un'opera di magia; infatti, chi avrebbe potuto
fare tanto in una sola nottata? " " Un uomo della tua esperienza,
o visir, parlare di magia! " esclamò il sultano.
" Abbiamo visto di quali ricchezze favolose disponga questo Aladino.
E dunque un uomo che è così ricco non può ottenere
tutto ciò che vuole? E non può, se lo vuole, farsi costruire
in una sola nottata, un palazzo come questo? lo credo in realtà,
o visir, che sia la gelosia, a farti parlare in questo modo. " Quando
il visir vide che il sultano stravedeva per Aladino, tacque per paura
di danneggiare la propria posizione aggiungendo altre parole. Intanto
Aladino, tornato nella sua modesta casa, aveva ordinato al demone di procurargli
dodici schiave per il servizio della madre, nonché abiti sontuosi
per costei. Quando le dodici schiave ebbero abbigliato e vestito la madre,
Aladino entrò da lei e le disse di recarsi dal sultano per prendere
la sposa e condurla nel nuovo palazzo.
Così la madre, accompagnata dalle sue dodici schiave, si recò
a palazzo reale per prendere Badr al-Budùr mentre Aladino, montato
a cavallo, andò nel suo nuovo palazzo ad attendere la sposa. Non
appena la madre di Aladino giunse a palazzo reale, le guardie corsero
ad avvertire il sultano, il quale, in segno di rispetto per colei che
era ormai diventata sua parente, le andò incontro e la accolse
con grande onore ordinando poi agli eunuchi di accompagnarla nell'harem
e di introdurla presso la figlia Badr al-Budùr. Quando la principessa
ebbe veduto la madre di Aladino, si alzò e le baciò rispettosamente
le mani, poi la fece sedere accanto a sé su un divano e le offrì
dolciumi e bevande intrattenendola affettuosamente. Dopo un po', sopraggiunse
anche il sultano, il quale, data la nuova parentela che si era stabilita
fra loro, poté vedere per la prima volta il volto della madre di
Aladino, e si meravigliò grandemente constatando che i tratti del
suo viso erano più fini e nobili di quelli di molte mogli di visir
e di dignitari.
Egli non poté trattenersi dal farle i suoi complimenti e la vedova
del povero sarto sentì che il cuore le si gonfiava di gioia e che
gli occhi le si riempivano di lacrime. Dopo un poco la madre di Aladino
si congedò dal sultano e, presa per mano la principessa Badr al-Budùr,
l'accompagnò nel palazzo del figlio, dove la giovane sposa fu ricevuta
da uno stuolo di schiave e di eunuchi che la guidarono verso le sue stanze,
mentre la principessa non cessava di stupirsi per le meraviglie che vedeva
in quel palazzo. Quindi le schiave addette alla sua persona si affrettarono
a toglierle gli abiti e a farle indossare una veste di tessuto finissimo,
leggera e trasparente. Infine, la condussero nella camera nuziale, dove
l'attendeva Aladino, al colmo della gioia. Quando la principessa fu entrata
nel letto di Aladino, e tutti si furono ritirati e i candelabri furono
spenti, accadde fra di loro quel che doveva accadere.
Ma anche quella notte di delizie, come tutto, ebbe termine e Aladino,
uscito dalle braccia della sposa Badr alBudùr, indossò un
abito ricchissimo, diverso da quello del giorno precedente, sorbì
il caffè che un o schiavo gli porgeva, montò a cavallo e,
accompagnato da una scorta di servi, si recò al palazzo del sultano.
Questi lo ricevette con molto affetto, come fosse un suo figliuolo, lo
abbracciò e lo baciò e lo fece sedere alla sua destra, mentre
i visir e i dignitari del regno si affrettavano a porgergli le loro felicitazioni.
Quando i complimenti furono terminati, Aladino disse al sultano: "
0 re del nostro tempo, sono venuto a chiederti di portare oggi la luce
della tua presenza nella mia casa e di voler dividere con me il primo
pasto che consumerà dopo le nozze. Ti prego di voler portare anche
tutti i nobili personaggi della tua corte. "
Il sultano si rallegrò molto per questo invito e subito, accompagnato
da Aladino e seguito da visir, ufficiali e alti dignitari, si avviò
verso il palazzo del genero. Appena entrato, si soffermò a guardare
il palazzo e le meraviglie in esso contenute, rimanendo stupito per tante
ricchezze. Allora, volto al gran visir, gli disse: " Che dici? Hai
mai visto in qualche reggia del mondo le ricchezze che si trovano in questo
palazzo? " " Signore, " replicò il gran visir, "
tutto ciò che vediamo qui è talmente meraviglioso che può
essere stato creato solo per opera di magia. Infatti nessun re della terra,
per quanto ricco e potente, avrebbe potuto mettere insieme tante ricchezze,
né avrebbe potuto chiamare al suo servizio tutti gli artigiani
necessari per compiere un'opera simile. "
Ma il sultano capì che quello parlava per invidia e che per invidia
cercava di convincerlo che tutto quello fosse opera di magia. Intanto
Aladino aveva accompagnato il sultano in uno stupendo padiglione, in mezzo
al giardino, la cui volta era di cristallo purissimo e le cui finestre
avevano grate d'oro e di pietre preziose. Poi Aladino chiese licenza di
andare ad avvisare la principessa Badr al-Budùr che il padre era
giunto nella sua casa. Intanto il sultano osservava il padiglione e a
un certo momento notò che una delle finestre non era stata compiuta.
Allora si volse al gran visir e disse: " Peccato che questa finestra
sia rimasta incompiuta. Perché pensi che l'abbiano lasciata così?
" " Signore, probabilmente i maestri non hanno avuto il tempo
di terminarla. " Quando Aladino fu di ritorno, il sultano rivolse
anche a lui la medesima domanda, e il giovane rispose: " Signore,
a causa della fretta con cui furono celebrate le nozze, quella finestra
non si poté terminare. "
" La farò terminare io! " disse il sultano. " Che
Dio ti rimeriti, " rispose Aladino. " In tal modo nella casa
di tua figlia rimarrà il ricordo del tuo nome e del tuo regno glorioso.
" Allora il sultano mandò a chiamare artigiani e gioiellieri,
ordinò che venisse dato loro tutto l'occorrente, in fatto di oro
e di pietre preziose, prendendolo dal suo tesoro personale. Intanto anche
la principessa Badr al-Budùr era venuta ad incontrare il padre,
il quale vedendola tutta lieta e sorridente, la baciò con affetto
fra gli occhi. Poi tutti insieme entrarono nel palazzo, seguiti dalla
schiera dei visir, degli ufficiali e degli alti dignitari. Entrarono nella
sala dei banchetti e sedettero a mensa, e il sultano ebbe alla sua destra
il genero e alla sinistra la figlia. Gustarono cibi e bevande così
squisiti e raffinati che ciascuno se ne stupì. Davanti agli ospiti
erano, pronte al servizio della mensa, ottanta ancelle, la cui bellezza
era tale che ciascuna di loro avrebbe potuto dire alla luna: " Levati
di lì, quello è il mio posto! " Dopo che ebbero mangiato
e bevuto a sazietà fra canti e musiche, il sultano si alzò
e volle andare a vedere a che punto fosse il lavoro degli artigiani occupati
a terminare quella finestra. Ma, recatosi sul posto, constatò che
mancava molto perché l'opera fosse compiuta; ne chiese spiegazione
agli artigiani, i quali gli dissero di avere impiegato tutto l'oro e le
gemme trovati nel suo tesoro personale, ma che il materiale ancora non
bastava. Allora il sultano diede ordine che si aprisse il tesoro dello
stato e si portasse tutto l'occorrente, ma si vide che anche questo non
bastava; così, fu ordinata la requisizione dei tesori personali
dei visir e degli emiri. Quindi il sultano si ritirò nel suo palazzo.
La mattina dopo Aladino si recò a vedere a che punto stava il lavoro
e vide che era ancora molto indietro. Allora Aladino ordinò agli
orafi di riprendere tutto il materiale che avevano impiegato, restituendo
l'oro e le gemme ai legittimi proprietari e riponendo il resto nel tesoro
del re. Quelli fecero quanto Aladino aveva detto, quindi si recarono dal
sultano e gli riferirono circa l'ordine ricevuto. " Perché
vi ha fatto smettere il lavoro e vi ha dato quest'ordine? " chiese
il sultano. Quelli gli risposero di non saperne nulla. Allora il sultano
si alzò, montò a cavallo e si recò al palazzo di
Aladino. Nel frattempo Aladino, dopo aver licenziato artigiani ed orafi,
si era appartato nella sua stanza, aveva strofinato la lampada e al demone
che si era presentato aveva detto: " Voglio che sia completata l'ultima
grata del padiglione. " Il demone si era inchinato e quello che Aladino
aveva ordinato era stato fatto in un batter d'occhio. Mentre Aladino contemplava
la grata appena finita, arrivò l'eunuco di servizio alla porta
e lo avvisò che il sultano stava venendo da lui. Aladino scese
ad incontrare il suocero, il quale, quando lo vide, gli disse: "
Figlio mio, perché non hai permesso agli artigiani e agli orafi
di completare la loro opera? " Al che Aladino rispose: " Signore
del nostro tempo, io avevo ordinato che quella grata rimanesse incompiuta
di proposito, e non fu certo per impossibilità da parte mia ch'essa
non venne terminata. Se vuoi compiacerti di constatare la verità
di quello che ti dico, seguimi. "
Ciò detto, accompagnò il sultano nel padiglione e gli mostrò
la grata che era stata compiuta. " Figlio mio, " gli disse il
sultano, " le cose che tu compi hanno del portentoso. In una sola
notte sei riuscito a fare quello che tutti i miei artigiani e gioiellieri
non erano riusciti a compiere in una intera giornata. Non vi è
alcuno, credo, che sia degno di stare a pari con te! "
Ciò detto il sultano entrò nelle stanze della figlia per
rifocillarsi e fu molto contento di vedere che costei era soddisfattissima
della casa e dello stato in cui si trovava.
Così, dopo essersi intrattenuto un poco con la figlia, tornò
nel proprio palazzo. E da quel giorno il sultano prese l'abitudine di
andare a passare ogni sera qualche ora con la figlia e con il genero Aladino,
al quale testimoniava un grandissimo affetto.
Quanto ad Aladino, non si lasciò insuperbire, né montare
la testa dalla grande fortuna che gli era toccata, ma si preoccupò
soprattutto di fare il bene e di spargere la felicità anche attorno
a sé. Egli soleva ogni giorno andare in giro per la città,
seguito dai suoi schiavi, a informarsi sui casi della gente, sovvenendo
con il proprio denaro i più infelici, perché non dimenticava
la povertà in cui aveva vissuto quando era soltanto l'orfano di
un povero sarto. Oltre a ciò, partecipava a cacce e a tornei e
a gare di tiro con l'arco, dimostrando ovunque la sua perizia e la sua
bravura, si che il popolo prese ad amarlo grandemente per la sua bontà
e ad ammirarlo per il suo valore. Ma quello che gli accattivò definitivamente
l'affetto del sultano e del popolo tutto fu una grande vittoria che egli
riportò contro un nemico che aveva mosso guerra al sultano invadendone
le terre. Aladino, posto a capo dell'esercito, affrontò l'oste
nemica, la sbaragliò e tornò nella capitale portando seco
un gran numero di prigionieri e grande quantità di bottino.
E il giorno in cui Aladino tornò dalla guerra venne accolto come
un trionfatore, in mezzo a festeggiamenti quali mai si erano visti. E
se la sua sposa Badr al-Budùr e il sultano ebbero motivo di amarlo
ancora di più, il popolo tutto prese addirittura a idolatrarlo
al punto da poter dire che per i sudditi di quel regno non vi fosse che
Iddio in cielo e Aladino sulla terra.
Ma torniamo ora al mago magrebino. Quando ebbe fatto chiudere la terra
sulla testa di Aladino, grazie alle sue arti magiche, se ne tornò
là donde era venuto, nei paesi dell'occidente, tutto pieno di rabbia
perché aveva visto la preda sfuggirgli proprio nel momento in cui
riteneva di averla a portata di mano. Col passare del tempo, il suo livore
invece di diminuire non faceva che aumentare, perché egli tornava
sempre col pensiero a quella disgraziata avventura e l'unica sua consolazione
era il fatto che Aladino fosse morto e la lampada fosse ancora custodita
nel sotterraneo. Ora avvenne che un giorno in cui il ricordo di quello
smacco gli cuoceva in modo particolare egli volle consolarsi mediante
un esperimento di geomanzia che gli permettesse di apprendere tutti i
particolari della morte di Aladino che certamente doveva essere stata
ben miserevole. Prese perciò le tavole geomantiche, le dispose
convenientemente in mezzo a un cerchio rosso, poi tracciò i punti
maschi e i punti femmine, le figure madri e le figure figlie e cominciò
a interrogare la sabbia: " Dimmi o sabbia, dimmi, che cosa ne è
stato della lampada magica? E come è morto quel figlio di un ruffiano
che si chiamava Aladino? " Ed ecco che i granelli di sabbia cominciarono
a muoversi e ad agitarsi e a disporsi secondo le figure dell'oroscopo.
Allora il magrebino, al colmo del furore e dello sbalordimento, seppe
che Aladino non era affatto morto, ma che era in possesso della lampada
magica e che grazie ad essa aveva ottenuto ricchezze e onori e aveva sposato
la figlia del potente sultano. Verde di bile e quasi non credendo ai propri
occhi, il mago ripeté l'esperimento, ma il responso della sabbia
fu identico.
Allora, schiumante di rabbia, cominciò a urlare: " Io ho dovuto
penare tanto per ottenere quella lampada, ho dovuto mettere in pratica
tutte le mie arti, acquistate con anni di studi e di fatiche, e non ci
sono riuscito; e quel figlio di puttana ne è venuto in possesso
senza alcun merito! E così tutte le ricchezze del mondo sono ora
ai piedi di quello straccione bastardo! " Ciò detto tracciò
sulla sabbia l'immagine di Aladino e vi sputò sopra, e poi vi urinò
sopra gridando: " E come la mia urina cancella la tua immagine, cosi
io cancellerò te dalla faccia della terra, o Aladino! "
E senza por tempo in mezzo si preparò e partì per la Cina
e giunto che fu nella città dove abitava Aladino prese alloggio
in un caravanserraglio, dove intese altri viaggiatori che magnificavano
le bellezze del palazzo di Aladino e la grande popolarità di cui
godeva il suo padrone. Così il magrebino, dopo essersi informato,
andò anch'egli a vedere questo palazzo, e quando fu davanti a quella
meraviglia gli parve che il fegato gli cascasse a pezzi e la bile si travasasse
tutta nel sangue. " Ah, è qui che vive costui, alla faccia
mia! " borbottò digrignando i denti. " Questo schifoso
pezzente, questo figlio d'un sarto e d'una vecchia puttana non aveva di
che mettere insieme il pranzo con la cena, ed ora se la spassa fra gli
agi e le ricchezze con la mia lampada! Ma troverò ben io il modo
di procurare la sua rovina! " Così ingoiando il veleno che
aveva in corpo, assunse un'aria melliflua e sorridente e si avvicinò
al portinaio del palazzo: " Fratello mio, " disse, " compatisci
un povero straniero che viene da paesi molto lontani. E' un'ora che sto
qui ad ammirare questo stupendo palazzo, e mi è venuta la curiosità
di sapere a chi appartenga tanta meraviglia. " " Devi venire
proprio da paesi molto lontani, " rispose il portinaio, " per
non aver mai sentito parlare di Aladino, che è il padrone di questo
palazzo e la cui fama di uomo generoso e prode corre dovunque in questa
parte del mondo. " " E come e quando lo si può ammirare
quest'uomo incomparabile? " chiese il magrebino. " Né
oggi né domani né dopodomani sicuramente ti sarà
possibile vederlo, " rispose il portinaio, " perché il
mio padrone è partito per la caccia e starà fuori qualche
tempo. " " La sua assenza agevolerà i miei piani! "
pensò il mago; poi, ringraziato e salutato il portinaio, si recò
nel suk ed entrò nella bottega di un calderaio. " Ho bisogno
di una dozzina di lampade di bronzo, nuove e ben lucenti. Non bado a spese
pur di averle subito. " " Ho quel che ti occorre, " rispose
il calderaio, e tirò giù da uno scaffale dodici lampade
di bronzo nuove fiammanti. Il magrebino le prese, le pagò il prezzo
che gli venne richiesto, quindi le pose in un paniere che aveva comprato
in precedenza e se ne uscì andando in giro per le strade e gridando:
" Lampade nuove! Lampade nuove! Cambio una lampada nuova con una
lampada vecchia! " E,la gente si fermava e rideva alle sue spalle
sentendo quelli strana offerta. " Senza dubbio, " diceva la
gente, " quest'uomo è pazzo se va in giro offrendo lampade
nuove contro lampade vecchie! " E così il magrebino se ne
andò di strada in strada, seguito da un codazzo di fannulloni e
di monelli che lo sbeffeggiavano, fino a che giunse sotto il palazzo di
Aladino, dove si mise a gridare la sua offerta con tutte il fiato che
aveva in corpo, mentre i ragazzi saltavano e ballaz vano intorno a lui
gridando: " E' pazzo! E' pazzo! " Ora, le grida del magrebino
e il chiasso e le risate dei monelli giunsero fino alla principessa Badr
al-Budùr che si trovava nel chiosco del giardino e che, udendo
tutto quel fracasso, mandò un'ancella a vedere che cosa stesse
accadendo nella strada. L'ancella andò e tornò ridendo dalla
padrona e le riferì che davanti al palazzo c'era un matto il quale
cambiava una lampada nuova contro una lampada vecchia. Poi l'ancella soggiunse:
" Signora, nelle stanze del mio padrone ho visto una vecchia lampada.
Diamola a quest'uomo e facciamocela cambiare con una nuova, così
potremo ridere alle sue spalle. " " Ma si, " fece la principessa
Badr alBudùr, " vai a prendere questa vecchia lampada, portala
a quello strampalato lì fuori e fattela cambiare. Così,
quando tornerà il mio signore, rideremo di questa sciocchezza.
" L'ancella andò nelle stanze di Aladino e prese la vecchia
lampada, di cui nessuno in casa conosceva i poteri magici, la consegnò
al capo degli eunuchi, il quale andò dal magrebino e la barattò
contro una lampada nuova. E quando la principessa Badr al-Budùr
vide la lampada nuova, non poté fare a meno di scoppiare a ridere
per la grande stoltezza di quel mercante.
Il mago magrebino, invece, appena ebbe la lampada fra le mani, raccolse
tutte le sue cose e tornò al caravanserraglio dove, chiusosi nella
sua stanza, strofinò la lampada, e subito gli apparve il demone
che disse: " Ecco il tuo servo, signore. Ordina quello che vuoi ed
io obbedirò! " " 0 demone della lampada, " disse
il magrebino, " voglio che tu prenda il palazzo di Aladino, con tutto
ciò che contiene, e lo trasporti in mezzo ai giardini del lontano
Marocco. E voglio che tu trasporti anche me insieme al palazzo! "
" Ascolto e obbedisco! " rispose il demone, e in men che non
si dica il mago magrebino e il palazzo, con tutto ciò che conteneva,
si ritrovarono in mezzo ai giardini dell'estremo occidente.
Ma torniamo ora al sultano, il quale, per il grande amore che portava
alla principessa Badr al-Budùr, soleva ogni mattina, appena alzato,
scendere dal palazzo e recarsi a trovare la figlia per informarsi della
sua salute e discorrere con lei del più e del meno. Ora avvenne
che l'indomani del giorno in cui il mago magrebino aveva barattato la
lampada nuova con la lampada vecchia, il sultano, come soleva fare, uscì
di buon'ora dal palazzo reale, ma quale non fu la sua meraviglia vedendo
che sul luogo dove sorgeva la magnifica dimora di Aladino non c'era più
nulla e il terreno si trovava nelle medesime condizioni in cui era prima
che Aladino vi costruisse il suo palazzo. Non credendo ai propri occhi,
il sultano cominciò a guardare da tutte le parti, a camminare avanti
e indietro, ma in nessun luogo poté vedere nemmeno l'ombra del
palazzo di Aladino, e alla fine dovette convincersi che era veramente
sparito. Allora cominciò a battere le palme delle mani, e le lacrime
cominciarono a scorrergli lungo la barba e si disperò perché
non sapeva che cosa era accaduto di sua figlia. Tornato nella sala del
trono, mandò subito a chiamare il gran visir, il quale, vistolo
in quello stato, gli chiese quale fosse la cagione di tanto dolore. Allora
il sultano, con gli occhi bagnati di pianto e la faccia stravolta, gli
chiese: " 0 visir, sai dirmi dov'è il palazzo di mia figlia?
" Al visir parve di cadere dalle nuvole e temette che il sultano
avesse perduto la ragione, in quanto non riusciva a capire che cosa significassero
quelle parole. " Che Allàh conservi il nostro sultano! "
esclamò. " Signore, io non riesco a capire quello che dici!
" " 0 visir del mio regno, hai guardato questa mattina il palazzo
di mia figlia? " chiese il sultano. " No, signor mio, "
rispose il visir, " questa mattina non ho ancora guardato da quella
parte. " Allora il sultano lo condusse alla finestra della sala del
trono, la spalancò e gli indicò lo sterrato dove prima sorgeva
il palazzo di Aladino, dicendogli: " Ora, o visir, comprenderai la
ragione del mio dolore e delle mie lacrime! " " In verità,
signore, " rispose il visir, " vi avevo sempre detto che quel
palazzo non poteva essere opera di uomini. Evidentemente quell'Aladino
doveva essere un gran mago che ha gettato su di te i suoi sortilegi. "
A quel nome, il sultano avvampò d'ira e chiese: " Dov'è
quel cane? Che sia subito preso e condotto dinanzi a me in catene! "
Così le guardie del sultano si recarono sul luogo dove Aladino
era intento a cacciare, lo presero e lo incatenarono dicendogli: "
Signore, perdonaci se ti trattiamo così, ma noi dobbiamo ubbidire
al sultano e questi sono gli ordini suoi. " Il fatto è che
tutti, in quel paese, volevano molto bene ad Aladino, e le guardie del
sultano, che pure erano costrette ad ubbidire, lo facevano a malincuore.
Aladino, nel vedersi preso e incatenato e nell'udire quelle parole, rimase
stupito oltre ogni limite e chiese ai soldati: " Amici miei, qual
è la ragione di quest'ordine? Perché il sultano vuole che
io sia incatenato? Io non ho commesso nulla contro di lui. " "
Ahimè, signore, " gli risposero le guardie, " noi abbiamo
ricevuto quest'ordine, ma non ne conosciamo la causa. " " Ebbene,
" rispose Aladino, " fate quanto vi è stato ordinato.
Io non mi opporrò. " Così lo presero e lo trascinarono
a palazzo; e mentre attraversava la città in quelle condizioni
tutta la gente, che lo amava grandemente e che capiva che doveva essere
accaduta qualche grave disgrazia, cominciò a seguire le guardie
e alla fine si assiepò davanti ai cancelli della reggia. E appena
Aladino e le guardie furono giunti al palazzo reale il sultano mandò
a chiamare il carnefice. Ma la voce subito si sparse fra la folla che
bloccò ogni uscita del palazzo e, attraverso il capitano delle
guardie, mandò a dire al sultano: " 0 sultano di questo regno,
noi non crediamo che Aladino sia colpevole di alcunché. Perciò
dai cancelli di questo palazzo non entra e non esce nessuno e tu fa' bene
attenzione che ad Aladino non sia torto un capello! " Quando il gran
visir seppe ciò disse al sultano: " Signore, la situazione
è grave. Se tu fai mozzare la testa ad Aladino, il popolo se la
prenderà con noi, perché il popolo di questo regno ama Aladino
più di se stesso. " Ma il sultano non volle ascoltare ragione
e ordinò che fosse introdotto il carnefice e fosse steso per terra,
nella sala del trono, il tappeto delle esecuzioni. Aladino, bendato, fu
costretto a inginocchiarsi sul tappeto; e già il carnefice aveva
alzato la spada per mozzargli il capo, quando il popolo sfondò
i cancelli del palazzo ed entrò nei cortili interni. Allora il
sultano, temendo per la propria salvezza, ordinò che fosse risparmiata
la vita ad Aladino e disse al visir di comunicare subito la notizia al
popolo. Quando Aladino vide che gli veniva risparmiata la vita, si alzò
dal tappeto delle esecuzioni e disse al sultano: " 0 re del nostro
tempo, dal momento che mi hai fatto grazia della vita, fammi ancora la
grazia di dirmi quali colpe io ho commesso contro di te. " "
Ipocrita e traditore! " urlò il sultano avvampando di sdegno.
" Tu non conosci dunque la tua colpa? "poi rivolto ai presenti
disse: " Conducetelo alla finestra! " Così Aladino fu
condotto alla finestra e, al colmo dello stupore, vide che il suo palazzo
era sparito e che di tutte le sue meraviglie non rimaneva più alcuna
traccia. Quando si riebbe dallo sbalordimento, tornò verso il sultano
il quale gli disse: " Tu devi essere un maledetto mago che ha gettato
su di me i suoi sortilegi! Dimmi: dov'è il tuo palazzo? e dov'è
mia figlia? " " Signore, " rispose Aladino, " ti giuro
che io non sono un mago. Non so come tutto ciò sia potuto accadere,
né ho la minima idea di dove si trovi in questo momento tua figlia.
" " Sappi, o Aladino, " gli disse il sultano, " che
se io ti ho fatto grazia è stato perché tu ripari al mal
fatto e ritrovi immediatamente mia figlia e la riporti qui sana e salva.
Se non farai ciò, io ti farò tagliare la testa. " "
Obbedisco, signore, " rispose Aladino. " Ti chiedo solo di danni
quaranta giorni di tempo, trascorsi i quali, se non sarò riuscito
a riportarti tua figlia, tu farai di me quello che vorrai. " "
Ti concedo i quaranta giorni, ma bada bene che se mancherai alla tua parola
saprò ritrovarti, fossi anche nascosto sulla luna. " "
Signore, non dubitare, " rispose Aladino. " In capo a quaranta
giorni, o riavrai tua figlia o avrai la mia testa. "
Così Aladino uscì dal palazzo del sultano, accolto con gran
gioia dal popolo che ringraziava Allàh per la sua liberazione.
Passando in mezzo alla folla, Aladino cominciò a domandare a destra
e a sinistra dove fosse il suo palazzo e che cosa fosse accaduto di sua
moglie, la principessa Badr al-Budùr. Ma tutti quelli ch'egli interrogava
non sapevano dirgli nulla di preciso e si limitavano a scuotere il capo
e a compatirlo perché pensavano che avesse perso il senno. Allora
Aladino si vergognò e, uscito di nascosto dalla città, se
ne andò errando per la campagna, fino a che giunse sulle rive di
un fiume, dove fu preso dalla tentazione di gettarsi nelle acque turbinose,
ponendo fine alla sua pena. Ma poiché era un buon musulmano e un
vero credente, non volle recare offesa all'Altissimo, togliendosi la vita,
ma si abbandonò tutto alla volontà del Signore. Così
si accinse a fare le abluzioni prima di recitare la preghiera della sera.
Ed ecco che mentre si lavava le mani strofinò inavvertitamente
l'anello magico che aveva al dito (quello stesso anello che gli aveva
dato il mago magrebino quando lo aveva fatto scendere nel sotterraneo)
e subito apparve un demone che gli disse: " Il servo dell'anello
è presente. Ordina e obbedirò! " Aladino riconobbe
subito il demone che lo aveva liberato dal sotterraneo e a quella vista
il cuore gli si riaprì alla speranza, perché aveva dimenticato
completamente l'anello e le sue virtù magiche. " 0 demone
dell'anello, " esclamò Aladino, " che Allàh ti
benedica e ti ricompensi! Ti ordino di riportarmi subito il mio palazzo
e la mia sposa, Badr al-Budùr! " " Ahimè, signore,
" rispose il demone, " io sono solo schiavo dell'anello, mentre
quello che tu mi chiedi è compito dello schiavo della lampada.
Mi dispiace perciò, signore, di non poterti servire in questo.
" " E va bene, " rispose Aladino, " se non puoi riportarmi
il palazzo, potrai però trasportare me nel luogo dove si trova
il palazzo. " " Ascolto e obbedisco! " rispose il demone,
e in men che non si dica Aladino si trovò in un meraviglioso giardino,
nella parte più lontana del Marocco, e in mezzo a quel giardino
vide il suo palazzo. Il cuore gli si aprì allora alla speranza;
ma poiché era già sera, Aladino si sdraiò sotto un
albero e si addormentò di colpo, vinto dalla fatica e dallo sfinimento.
Quando spuntò il giorno, Aladino fu svegliato dal cinguettio degli
uccelli che popolavano gli alberi. Si alzò, andò a un ruscello
che c'era li accanto, fece le abluzioni di rito, quindi recitò
la preghiera del mattino. Ciò fatto, andò a sedersi sotto
le finestre del palazzo e si mise a riflettere sulla situazione.
Ora, bisogna sapere che, da quando il mago magrebino l'aveva rapita con
tutto il palazzo, la principessa Badr al-Budùr, per la grande pena
e afflizione, non toccava cibo né bevanda, non dormiva la notte
e la mattina, appena faceva giorno, si alzava e si metteva a piangere.
Orbene, avvenne che quella mattina un'ancella entrò nella stanza
della padrona, spalancò la finestra e guardò fuori e subito
corse dalla principessa Badr al-Budùr gridandole: " Signora!
Signora! Il mio padrone Aladino è seduto qui, sotto la tua finestra!
" Badr al-Budùr, quasi non credendo alle proprie orecchie,
si precipitò alla finestra e vide effettivamente Aladino, seduto
sotto un albero, che guardava verso di lei. Si fecero grandi gesti di
saluto e di gioia e poi Badr al-Budùr disse al marito: " Presto,
entra per la porta segreta, ché quel dannato mago non è
qui ora! " Così Aladino entrò per la porticina che
gli fu aperta dall'ancella e Badr al-Budùr appena lo vide gli si
precipitò piangendo fra le braccia. Dopo che ebbero versato lacrime
di gioia, Aladino disse: " 0 Badr al-Budùr, prima di ogni
cosa dimmi: che ne è stato di quella vecchia lampada di bronzo
che avevo lasciato, prima di partire per la caccia, sopra uno stipo in
camera mia? " Allora Badr al-Budùr cominciò a gemere
per l'afflizione e battendo le palme delle mani disse: " Ahimè,
Aladino, marito mio, proprio quella lampada è la causa di tutte
le nostre sventure! Ma di tutto quello che è successo la colpa
è soltanto mia! " E raccontò al marito per filo e per
segno tutto quello che le era capitato con la lampada e con il mago magrebino.
" E come si comporta con te quel dannato? " chiese Aladino quando
ebbe udito il racconto della moglie. " Che cosa ti dice? Che cosa
vuole da te? " " Una volta al giorno, non di più, "
rispose Badr al-Budùr, " quel miserabile viene da me e cerca
in tutti i modi di sedurmi, dicendomi che il sultano mio padre ti ha fatto
tagliare la testa e che ormai da te non posso aspettarmi alcun aiuto,
e tanto vale che mi consoli con lui dimenticando te ed ogni altra cosa.
" " Sai per caso dove quel dannato magrebino nasconda la lampada?
" " Non la nasconde in alcun posto, " rispose Badr al-Budùr,
" ma la porta sempre addosso, e questo lo so di sicuro perché
ogni volta che viene qui me la mostra, come fosse un trofeo, tirandola
fuori da sotto l'abito. " " Non la mostrerà ancora per
molto, quella lampada " disse Aladino, " perché io conosco
un modo per punire questo mago magrebino! " Ciò detto pregò
Badr al-Budùr di lasciarlo per un momento solo nella stanza. Quindi
strofinò l'anello e al demone che apparve disse: " Voglio
che tu mi porti un narcotico dei più potenti che ci siano! "
" Ascolto e obbedisco! " rispose il demone e in men che non
si dica sparì e tornò con il narcotico richiesto. Quando
Aladino ebbe licenziato il demone, richiamò la moglie nella stanza
e le disse: " Ascoltami bene, moglie mia: se vuoi che riusciamo a
liberarci da questo dannato magrebino, dovrai fare esattamente quello
che ti dico. Tra poco egli verrà qui, in questa stanza e cercherà
come al solito di sedurti. Ebbene, tu devi fare la tale e la tal'altra
cosa e devi dirgli questo e, quest'altro. " E Aladino disse esattamente
alla moglie quello che doveva fare e dire e come doveva comportarsi con
il magrebino. Poi concluse: " Io mi nasconderò in quell'armadio
e verrò fuori solo al momento opportuno. "
Ciò detto, Aladino andò a nascondersi nell'armadio mentre
la principessa Badr al-Budùr, secondo quanto le aveva ordinato
il marito, chiamò le ancelle e si fece abbigliare e profumare con
estrema cura indossando gli abiti più sfarzosi e seducenti che
avesse. Quindi si distese mollemente sui cuscini in attesa che arrivasse
il mago. E infatti di lì a poco ecco che arrivò il magrebino.
E Badr al-Budùr, appena lo vide, si alzò in piedi e gli
andò incontro dicendogli: " Non meravigliarti, o signore,
per il cambiamento che vedi sul mio volto e nella mia persona. Il fatto
è che dopo avere molto riflettuto mi sono convinta che senza dubbio
il mio sposo Aladino deve essere caduto vittima dell'ira di mio padre.
Quindi tanto vale che io mi consoli e non pensi più a lui perché
quello che è scritto deve accadere e nessuno può farci nulla.
" Ciò detto lei e il mago sedettero a cena e mangiarono e
bevvero in grande allegria, e per tutto il tempo Badr al-Budùr
non fece che scherzare con il magrebino accarezzandolo e assumendo pose
lascive, sicché quello perse completamente la testa e si senti
invadere dal desiderio di congiungersi con la fanciulla. Quando ebbero
finito di mangiare, Badr al-Budùr, senza che il magrebino la vedesse,
versò nella propria coppa il narcotico che Aladino le aveva dato.
Poi disse: " Carissimo, sebbene io altro non desideri che il tuo
amplesso e non veda l'ora di stendermi sotto di te, pure vorrei che prima
di coricarci facessimo come usa fra gli amanti del nostro paese. Mi accontenterai
tu, amore mio? " " Anima mia, " rispose il magrebino tutto
in sollucchero, " farò qualunque cosa per compiacerti; ma
dimmi qual è questa usanza del tuo paese. " " Da noi
c'è l'uso che prima di una notte d'amore gli amanti bevano l'uno
nella coppa dell'altro. " " Se non è che questo, "
rispose il magrebino, al quale la libidine aveva fatto dimenticare ogni
cautela, " dammi subito la tua coppa. " Allora Badr al-Budùr
porse la coppa al magrebino, che la vuotò d'un fiato; e non aveva
ancora finito di bere che per l'effetto del potente narcotico cadeva riverso
a terra. Sentendo il tonfo della caduta, Aladino saltò dall'armadio,
si precipitò addosso al magrebino e dopo averlo frugato fra gli
abiti si impossessò della lampada. Quando la ebbe fra le mani,
Aladino si senti al colmo della gioia, baciò fra gli occhi Badr
al-Budùr, la ringraziò per quello che aveva fatto, quindi
la invitò a ritirarsi un momento. Appena rimasto solo, Aladino
strofinò la lampada ed ecco che gli apparve il demone il quale
pronunciò la solita formula: " 0 signore della lampada, ecco
il tuo servo. Comanda, e io ubbidirò! " " Voglio, "
gli disse Aladino, " che tu prenda questo palazzo con tutto quello
che contiene e lo riporti esattamente nel luogo dove si trovava prima,
di fronte al palazzo del sultano. " " Ascolto e obbedisco! "
rispose il demone. Quindi, mentre il demone trasportava il palazzo nel
luogo da cui lo aveva preso, Aladino andò a trovare Badr al-Budùr,
l'abbracciò e la baciò teneramente; poi sedettero a cena
e mangiarono e bevvero in allegria, dopo di che andarono a coricarsi e
finirono la nottata fra le gioie dell'amore.
L'indomani il sultano, come soleva fare ogni mattina da quando aveva perduto
la figlia, andò ad aprire la finestra per contemplare il luogo
dove un tempo sorgeva il palazzo di Aladino e per piangere sulle sue disgrazie.
Anche quel giorno fece la stessa cosa, ma quale non fu il suo stupore
quando si vide davanti agli occhi il palazzo di Aladino, che sorgeva nel
medesimo punto in cui lo aveva visto l'ultima volta. Dapprima rimase sbalordito,
incapace di muoversi e di parlare. Poi si riscosse e senza pensare alla
propria dignità regale si precipitò di corsa, gridando e
gesticolando, verso il palazzo di Aladino, dove fu accolto dalla figlia
e dal genero, che gli erano andati incontro. Il sultano, quasi non credendo
ancora ai propri occhi e con il cuore gonfio di gioia, si precipitò
piangendo fra le braccia della figlia e la baciò fra gli occhi
mentre lacrime di commozione gli scendevano lungo la barba. Quando si
fu rimesso dall'emozione, volle che gli raccontassero tutti i particolari
di quella incredibile avventura e Badr al-Budùr, avuto il permesso
da Aladino, gli raccontò per filo e per segno tutto quello che
le era capitato concludendo: " Come vedi, padre mio, la colpa di
tutto questo è solo della mia leggerezza, perché io ho disposto
di una cosa che non mi apparteneva senza chiedere il permesso a colui
che è il mio signore. " Dopo avere ascoltata tutta la storia,
il sultano abbracciò Aladino e gli chiese perdono per averlo trattato
ingiustamente; quindi domandò notizie dello sciagurato che aveva
provocato tutto quel male. Allora Aladino condusse il sultano in una stanza
del palazzo e gli mostrò il mago magrebino che era ancora steso
per terra sotto l'effetto del narcotico. Il sultano mandò subito
a chiamare il carnefice e, seduta stante, venne mozzata la testa al magrebino;
quindi il cadavere venne bruciato e le ceneri sparse al vento. Quando
vide che i suoi ordini erano stati eseguiti, il sultano tirò un
gran sospiro di sollievo e ordinò che i banditori percorressero
la città annunciando a tutti il ritorno di Aladino e della principessa
Badr al-Budùr e indicendo grandi festeggiamenti in loro onore.
Dopo di che vissero per qualche tempo tutti felici e contenti.
Epperò, nonostante che il mago magrebino fosse stato ucciso e bruciato
e le sue ceneri fossero state sparse al vento, i pericoli per Aladino
non erano ancora finiti, perché bisogna sapere che quel mago magrebino
aveva un fratello che gli rassomigliava come una goccia d'acqua somiglia
a un'altra goccia d'acqua e come un granello di sabbia somiglia a un altro
granello di sabbia. Questo fratello, che abitava in un altro paese dell'Africa,
era anch'egli versato in tutte le arti magiche e, se possibile, era ancora
più malvagio e perfido del mago magrebino. Ora avvenne che un giorno
costui, volendo avere notizie della salute del fratello, tracciò
sulla sabbia le figure geomantiche e con grande stupore apprese che il
fratello era morto in una città della Cina e che colui che lo aveva
ucciso era un giovane chiamato Aladino. Pieno d'ira e di sdegno, covando
propositi di vendetta, il mago si mise subito in viaggio e giunto nella
città dove abitava Aladino prese alloggio in un caravanserraglio.
E mentre se ne stava in questo caravanserraglio pensando al modo in cui
avrebbe potuto nuocere ad Aladino, sentì delle persone parlare
di una santa vecchia, di nome Fatima, che abitava fuori della città
e che era tenuta da tutti in grande venerazione e stimata capace di compiere
miracoli. E poi udì ancora degli altri che parlavano di Aladino
e della principessa Badr al-Budùr e di come costei si affliggesse
perché, dopo tanti mesi di matrimonio, ancora non era riuscita
a procreare un figlio. Allora il mago disse fra sé e sé:
" Questa è davvero una circostanza fortunata! Grazie a questa
vecchia Fatima, riuscirò a vendicare mio fratello! " Quindi,
senza por tempo in mezzo, uscì dal caravanserraglio e andò
ad appostarsi vicino alla grotta dove abitava la vecchia Fatima. Alla
sera, quando costei rientrò dopo essere stata in giro tutto il
giorno a dispensare preghiere e benedizioni, il mago le saltò addosso
e minacciandola con un coltello la costrinse a dargli i suoi abiti; poi
la legò e la imbavagliò lasciandola lì dove si trovava.
La mattina dopo entrò in città indossando gli abiti della
vecchia Fatima e sembrando in tutto simile a lei. Subito si recò
sotto il palazzo di Aladino, ed ecco che una gran folla di gente cominciò
a farglisi intorno invocando benedizioni e grazie e facendo un tal chiasso
che lo sentì anche la principessa Badr al-Budùr dalle sue
stanze. Mandò un'ancella a informarsi dall'eunuco portinaio circa
quanto accadeva per la strada, e questi, presentatosi al suo cospetto,
baciò, la terra davanti a lei e le disse: " Signora, il chiasso
che tu senti è a cagione di quella santa vecchia, chiamata Fatima,
che vive in una grotta fuori di città. Se anche tu vuoi la sua
benedizione dimmelo e io la farò salire. " " Sì,
" rispose Badr al-Budùr, " valla a chiamare e chissà
che la sua benedizione non consoli i miei affanni. " Cosi il capo
degli eunuchi scese in strada, chiamò il mago, travestito da Fatima,
e lo condusse alla presenza di Badr al-Budùr. E nessuna dubitò
che quella non fosse la vecchia Fatima, meno di tutti Badr al-Budùr
che, appena vide la pia donna, la fece sedere accanto a sé sul
divano dicendole: " Santa Fatima, vorrei che tu ti fermassi per qualche
tempo qui con me, acciocché, per intercessione della tua pietà
e delle tue preghiere, l'onnipotente Allàh mi conceda quello per
cui sospiro da tanto tempo: un figlio! " " Signora, " rispose
la falsa Fatima, " io non sono degna di vivere nei palazzi dei re;
io sono solo una povera vecchia abituata a una vita di penitenza. "
" Quanto a questo, " rispose Badr al-Budùr, " ti
farò dare una stanza dove nessuno verrà a disturbarti, e
tu potrai fare le tue penitenze come hai sempre fatto. " " Ascolto
e obbedisco, " rispose la falsa vecchia. " Ma ti prego, fa'
in modo che nessuno venga a distrarmi durante le preghiere, e inoltre
ordina alle tue schiave di mettermi ogni mattina nella cella una brocca
d'acqua e un pezzo di pane, e io mangerò quando ho fame, ché
di altro non ho bisogno. " Ora l'astuto mago aveva detto ciò
perché se avesse mangiato in presenza di altri avrebbe dovuto sollevare
il velo, e allora tutti, vedendolo fornito di baffi e barba, avrebbero
capito che non era la santa Fatima, ma un impostore. " Stai tranquilla,
pia donna, " disse Badr al-Budùr, " tutto sarà
fatto come tu vuoi e nessuno ti chiederà di fare ciò che
non ti aggrada. " La falsa vecchia ringraziò Badr al-Budùr,
quindi le chiese che cosa poteva fare per lei. Badr al-Budùr le
disse che più di ogni altra cosa al mondo ella avrebbe desiderato
di poter procreare un figlio, ma che, nonostante avesse preso ogni sorta
di droghe quasi ogni notte giacesse con il marito, fino a quel momento
non era mai rimasta incinta. Allora la vecchia finse di concentrarsi nella
preghiera, poi, dopo aver biascicato a lungo parole incomprensibili, disse:
" L'Onnipotente mi ha illuminata e mi ha indicato il rimedio per
la tua sterilità. Bada però che si tratta di una cosa difficile,
per ottenere la quale sono necessarie forze sovrumane. " " E
di che cosa mai si tratta? " chiese incuriosita Badr ai-Budùr
" Per rendere fecondo il tuo utero, " rispose la vecchia, "
bisogna che tu appenda alla volta del padiglione del giardino un uovo
dell'uccello Rukh che nidifica solo sulla più alta vetta del Caucaso.
Ma sappi che prendere, un uovo dal nido dell'uccello Rukh è impresa
difficilissima, se non addirittura impossibile. " " Per Allàh,
" disse Badr al-Budùr, " io non so che cosa sia questo
uccello né dove si trovi il suo nido, ma sono sicura che il mio
sposo Aladino saprà procurarmi quello che mi occorre. " Ciò
detto Badr al-Budùr licenziò la vecchia e la sera quando
Aladino tornò a casa, gli disse: " Mio signore, la santa vecchia
Fatima, che ho ospitato nella nostra casa, mi ha detto che per guarire
la mia sterilità è indispensabile che tu mi procuri un uovo
dell'uccello Rukh, che nidifica solo sulla più alta vetta del Caucaso.
Se non vuoi che io muoia dal dolore e dalla disperazione, ti prego di
procurarmi al più presto quest'uovo. " ".Se questo può
servire a renderti felice, > rispose Aladino sorridendo, " ti
procurerò l'uovo di questo uccello ovunque si trovi. Ma ora, ti
prego, lasciami solo. " E quando Badr al-Budùr fu uscita,
Aladino prese la lampada magica, la strofinò e al demone che subito
si presentò al suo cospetto disse: " 0 servo della lampada,
voglio che tu mi procuri un uovo dell'uccello Rukh e lo sospenda alla
volta del padiglione che è nel giardino. " Udendo queste parole,
il demone, invece di rispondere come aveva sempre fatto: " Ascolto
e obbedisco! " impallidì dallo sdegno e, con voce terribile,
cominciò a gridare: " Miserabile ingrato, come osi chiedermi
questo?
Non ti basta che io e tutti i servi della lampada siamo ai tuoi ordini
per ogni cosa che chiedi? Ora vorresti anche che rubassi un uovo all'uccello
Rukh che è il mio signore supremo! Sappi che se tu non avessi in
mano quella lampada e al dito quell'anello saresti già morto fra
atroci tormenti e di te non rimarrebbe nemmeno il ricordo del nome. "
Al che Aladino stupefatto rispose: " 0 servo della lampada, sappi
che se io ti ho chiesto ciò non l'ho fatto di mia spontanea volontà,
ma perché una santa vecchia di nome Fatima lo ha suggerito a corra
moglie. " Allora il demone parve rabbonirsi e gli rispose: "
Se le cose stanno così, allora sappi, o Aladino, che quella santa
vecchia non è affatto una santa vecchia, ma è il fratello
del mago magrebino, il quale si è impossessato delle vesti di Fatima
e si spaccia per lei, ed è lui che ha indotto tua moglie a chiederti
l'uovo dell'uccello Rukh sapendo che ciò avrebbe provocato la tua
rovina. " Udendo queste parole, Aladino rimase sulle prime sbalordito,
ma poi si mise subito a pensare al modo migliore per sbarazzarsi di questo
nuovo nemico. Recatosi nelle stanze della moglie Badr al-Budùr,
chiese di vedere quella pia donna e, non appena la vecchia fu alla sua
presenza, Aladino le disse: " 0 santa donna, che tu sia benedetta
e sia benedetto il momento della tua venuta in questa casa. Io sono afflitto
da un grande mal di testa, e vorrei che tu mi ponessi le tue mani benedette
sul capo per vedere se, grazie alle tue virtù, questo dolore mi
passa. " Ciò detto, Aladino s'inginocchiò davanti al
mago, il quale, gongolando per la opportunità che gli si presentava,
gli pose una mano sul capo, mentre con l'altra frugava sotto gli abiti
in cerca del pugnale. Aladino, che lo teneva d'occhio, rimase immobile,
ma quando vide che il mago tirava fuori il pugnale gli afferrò
il polso e, torcendoglielo con forza, fece si che il pugnale si conficcasse
nel cuore del mago. Vedendo ciò, Badr al-Budùr gridò
piena di sgomento: " Mio signore, che cosa hai fatto? Tu hai ucciso
questa santa vecchia che recava la sua benedizione nella nostra casa!
Che Allàh ci risparmi la sua collera! " Ma Aladino non si
preoccupò dello sgomento della moglie e, alzatosi da terra con
il volto ilare e sorridente, le disse: " Diletta moglie, non temere
nulla perché costei non era affatto la santa vecchia che tu credevi
che fosse, bensì il fratello di quel maledetto mago magrebino.
" E ciò detto strappò il velo dal volto della vecchia
e Badr al-Budùr vide, al colmo della stupefazione, che la falsa
Fatima aveva barba e baffi. Quando Aladino ebbe spiegato a Badr al-Budùr
i malvagi disegni di quel perfido mago, la principessa si rallegrò
moltissimo e ringraziò Allàh per la protezione che aveva
accordato loro.
Dopo di che vissero lunghi anni contenti e felici e Badr al-Budùr
generò due figlioli belli come due lune che crebbero forti e buoni
come il padre, e la loro vita trascorse lieta e serena finché non
giunse Colei che distrugge ogni gioia, che separa le compagnie, che spopola
i palazzi e popola le tombe. Sia lode ad Allàh che ne sa più
di tutti noi.
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